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Cultura

IMPORRE O RIFONDARE

FELICE MAGNANI - 01/06/2018

cambiamentoViviamo il tempo dell’inquietudine, dove tutto sembra sfuggire di mano, come se all’improvviso ci accorgessimo di aver sbagliato tutto, di non essere all’altezza. Si ha la netta sensazione che quello che abbiamo fatto non sia sufficiente, non corrisponda a quello che avevamo pensato e costruito.

Viviamo il tempo della ricerca, in cui gli esseri umani sono chiamati a rispondere delle loro azioni, del loro modo di essere in una dimensione meno geograficamente limitata, meno definita e prestampata, più aperta all’innovazione e alla necessità di fornire risposte a chi non le ha mai ricevute e mai trovate. Tutto è profondamente instabile, non c’è nulla di troppo consolidato che non cada sotto il peso di macerie un po’ dappertutto.

Un’epoca di mezzo? Di assestamento? Sembra che il mondo sia alla ricerca di qualcosa di nuovo, qualcosa che si intravvede, ma che ha bisogno di tanto buon senso e di tanto impegno per potersi definire e attivare. I cambiamenti non sono sempre bene accolti e questo è male, perché si ha l’impressione che ci sia sempre qualcuno deciso a mantenere intatto il potere acquisito, come se fosse sempre il più giusto, il più vero, il più santo e il più bello del mondo. Cambia chi è alla ricerca, chi non si accontenta, chi capisce che non esistono mai certezze esaustive e sufficienti, chi si mette nella condizione mentale di pensare sempre un pochino di più, di guardare avanti, di essere un quotidiano ricercatore di verità da confrontare, verificare, valutare. Cambia chi rinuncia all’isolamento o alla tentazione di sovrapporsi agl’interrogativi della storia, chi non si abbandona a forme estreme di autolesionismo o di pessimismo cosmico.

Cambia chi cerca di modificare la propria natura, il proprio carattere, la propria voglia di contribuire al benessere del mondo senza pretendere sempre qualcosa in cambio. Cambia chi abbandona l’idea di essere sempre dalla parte del giusto, chi riconosce i propri errori e chi ha il coraggio di ammetterli, di sottoporli all’esame investigativo e risolutivo della ragion pratica.

Ci sono diversi modi per cambiare, senza mai dimenticare tutto quello che abbiamo fatto. Le analisi presuppongono un campo su cui dibattere, su cui appoggiare le incertezze e le insicurezze, i fallimenti e le delusioni, le arbitrarietà e le fragilità, un campo in cui riconoscere che si è sbagliato e tanto, perché si è pensato più a se stessi che agli altri, si è lavorato per l’ambizione, l’arroganza, l’idea che noi, il movimento o il partito fossimo gli unici e veri detentori della verità.

La vita insegna che le verità, quelle vere, non temono i confronti, le diatribe, le furbizie umane, i sotterfugi, le inadempienze, perché sono libere da vincoli e legami, sono capaci di bastare a se stesse, di riconoscere che senza l’umiltà di sentirsi piccoli e bisognosi non si va da nessuna parte, si resta prigionieri dei propri dubbi e delle proprie perplessità.

Forse è finita l’epoca degli assolutismi ed è iniziata quella dell’ascolto, della voglia di riprendere, di modificare, di cambiare, di dare volti nuovi a parole stantie, a frasi fatte che non dicono nulla, a pensieri che abbiano un capo e una coda, a uno stile di vita più sereno, onesto e lineare, che non abbia continuamente bisogno di essere ripreso, perché nutre una profonda e attenta convinzione democratica, soprattutto l’idea che non ci sia nulla di irremovibile e che tutto debba andare incontro ai bisogni e alle necessità di chi vuole vivere a testa alta, da cittadino libero e maturo, convinto che la legge sia uguale per tutti, sempre, da qualsiasi parte spiri il vento.

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