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Economia

UNA REGOLATA, PERCHÉ NO?

ALFIO FRANCO VINCI - 15/06/2018

Il ministro Giovanni Tria

Il ministro Giovanni Tria

L’economia italiana è forte, ora “meno deficit e più investimenti”; queste le parole del ministro Tria riportate in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Per chi come me, convinto keynesiano da sempre, si è sgolato nell’ultimo decennio perché si abbandonasse la perversa via della finanza creativa per tornare ai sani, anche se datati investimenti pubblici, è giunto il tempo di poter dire “era ora”.

Non più tardi di una decina di giorni fa, durante un evento a contenuti economici, riservato ad avvocati, commercialisti e qualificati imprenditori, in cui ero stato chiamato a fare da moderatore, sostenevo che non bisogna pensare che la “spreadite” sia una malattia cronica ed incurabile; è uno shock, più emotivo che fondato, di breve durata senza danni permanenti sull’economia, se non si ha bisogno di disinvestire nel brevissimo e proprio in quel periodo.

Quello che conta per diagnosticare lo stato di salute dell’economia di un paese sono i fondamentali, e quelli italiani, conferma il ministro sempre nell’intervista al Corsera, sono buoni.

Come sommessamente sostenevo e sostengo, i dati li abbiamo sotto gli occhi, si tratta solo non di saperli, ma di volerli leggere, senza dover per forza arrivare a conclusioni preconfezionate.

Il risparmio privato pari al doppio del debito pubblico; il patrimonio immobiliare privato pari al 400% del pil; la spesa che non supera il 90% degli introiti degli italiani, quindi propensione al risparmio.

Questi sono i nostri fondamentali: i pilastri di fondazione, non a caso si chiamano fondamentali, che reggono il nostro sistema economico come fosse un grande palazzo.

Non tutti i paesi europei hanno questo insieme di valori, e, quindi, come sostiene Siri della Lega, ogni tanto superiamolo pure il tabù del 3%; d’altra parte la Francia lo fa da 10 anni e nessuno l’ha invasa con i carri armati.

Pare che anche Visco, il Governatore di Bankitalia, pur con tutte le cautele del caso, stia rivedendo la posizione di iniziale intransigenza rispetto alla cosiddetta “flat tax”, ormai sembra ”dual tax”, come mezzo al fine di far ripartire i consumi e di alleggerire il conto fiscale delle imprese.

Al netto delle naturali, doverose ed inevitabili dure critiche delle opposizioni, un vero e proprio “ processo alle intenzioni”, che partono dal rifiuto del cambiamento, e questo che stiamo vivendo lo è, quello che non comprendo, e francamente un po’ preoccupa, è la posizione di Confindustria.

Il ministro Di Maio preannuncia azioni di contrasto alla delocalizzazione e aiuti a chi resta a zappare nel proprio orto. Sarà forse un po’ vintage/protezionistico, ma sicuramente è in buona compagnia, e non da adesso, Francia docet; e Confindustria che fa?, ammonisce “chi è contro l’industria è contro l’Italia”.

Viene da chiedersi di che industria e di che Italia stiamo parlando?

Forse è il momento di rimettere a posto gli orologi.

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