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Società

UNA CRESCITA EDUCATIVA

FELICE MAGNANI - 15/06/2018

crescitaChe cosa conta per i ragazzi e per una loro crescita. Conta soprattutto la capacità di creare relazione, di entrare in sintonia, di creare rispetto e disciplina, di stimolare la voglia di crescere dei giovani, di dare un senso alle cose che fanno, coinvolgendoli il più possibile anche nelle attività pratiche.

I giovani vogliono chiarezza, fermezza, onestà, non si accontentano di bugie o di forme di imbonimento qualsiasi. Lavorando in collegio con ragazzi difficili, mi sono reso conto che la concretezza era il modo migliore per risolvere i problemi.

Che tipo di concretezza? Quella sportiva per esempio. Giocare con i ragazzi significava dimezzare le distanze, dimostrare che l’adulto non è un’immagine fine a se stessa, ma una realtà viva, che partecipa, si mette in gioco, non ha paura di scontrarsi o di offrire punti di contatto.

Nei collegi si tocca con mano la povertà, non solo quella materiale, ma soprattutto quella morale, quella che non ha conosciuto il calore materno e l’autorità paterna, quella che vive di solitudini e di indifferenze, di noncuranze e di negazioni, quella che riversa le sue solitudini e le sue inadempienze sull’indifferenza. Occorre però non dimenticare mai che in fondo a quelle sacche che appaiono in tutta la loro materiale secchezza, ci sono fonti inesauribili di calore umano che, se ben guidato, produce frutti di notevole entità.

I ragazzi hanno soprattutto bisogno di verità, non amano le bugie, essere presi per il naso, preferiscono una verità detta anche con durezza, ma vera, priva di secondi fini o di sottili falsità. Chi ha subito i contraccolpi della vita non ama i pietismi, vuole vedere, conoscere, approfondire, vuole capire fono a che punto l’uomo sia fonte di verità.

Chi ha subito non ama essere compatito, trattato come un diverso, desidera avere quel riconoscimento umano che la vita gli ha negato e di solito lo fa con i mezzi di cui dispone, magari sbagliando, ma con l’intenzione di fare un passo in più verso la verità.

Lavorare in un collegio/educandato significa vivere a stretto contatto di gomito con tutti, notte e giorno ed proprio per questo che la vita interna deve essere molto bene organizzata, non deve lasciare buchi, bisogna sempre cercare di far apprendere un senso, di creare occasioni per discutere, riflettere, giocare, bisogna animare, lasciare uno spazio importante alla relazione individuale e di gruppo, bisogna soprattutto stimolare la voglia di fare, di essere competitivi, di credere nelle risorse umane e nel farle crescere sia sul piano umano sia su quella della formazione in generale.

 Nella vita di collegio prevale la vita, intesa come presa di coscienza costante sulle cose da fare e su quelle da non fare. L’adulto non ha solo una funzione educativa di carattere multidisciplinare, ma deve mettersi in gioco, dimostrare sul campo, perché i ragazzi sono meno stupidi di quanto si possa immaginare.

L’errore che commettono molti educatori è proprio quello di sottovalutare, di credere di avere sempre tra le mani il bandolo della matassa, di sottovalutare il valore dell’educazione, che non è mai prevaricazione o repressione, ma leale e chiara presa d’atto di vincoli comuni, di parti da sostenere nella piena consapevolezza che l’una sia di supporto all’altra.

Nella vita dei giovani conta soprattutto la… vita, la capacità di saperla fare amare, apprezzare, stimare, nel sapere darle quell’importanza che la rende unica e bellissima. Certo quella dell’educatore è una missione che prevede una vocazione che va consolidata, vivendola in pienezza con chi deve essere educato.

Molti dei problemi dei giovani sono da addebitarsi a una società adulta che non esprime energia, fiducia, lealtà, chiarezza, fermezza, si tratta di una società che pensa di risolvere i problemi concedendo tutto e ufficializzando tutto, spazzando via i confini naturali entro i quali si gioca la sfida educativa. Motivare, valutare, incoraggiare, organizzare, sono passaggi che ampliano il campo d’azione di un sistema educativo, che lo rendono affidabile, credibile, accettabile, ma bisogna che alla base di tutto ci siano quella determinazione e quella fermezza che diventano il collante per una proficua azione educativa.

Ho visto spesso colleghi in grandissima difficoltà con gli alunni, proprio per la loro incapacità a sviluppare un rapporto interpersonale serio e costruttivo, minato spesso dalla convinzione di poter educare adottando il principio di una libertà troppo ampia per poter trovare argini o spazi entro i quali potersi determinare in modo saggio ed equilibrato.

Uno dei grandi temi di oggi è proprio quello di ricreare un sistema educativo affidabile e credibile, capace di fungere da argine e contemporaneamente da centro propulsore di nuovi modi di essere, capaci di sviluppare una diffusa e approfondita coscienza morale e sociale del problema.

 Spesso si pensa di poter risolvere tutto con il silenzio, facendo finta di niente, minimizzando, quando in realtà occorre un tipo di educazione capace di responsabilizzare al massimo, in grado di dare risposte convincenti a chi le cerca quasi con disperazione.

L’educazione non è finzione o sottovalutazione o sopravvalutazione, ma rapporto diretto tra contraenti che misurano la loro identità sulla base di risultati su cui valutare la qualità e la forza morale del modello educativo. I ragazzi hanno bisogno soprattutto di credere, di sapere che un modello può essere applicato coraggiosamente da tutti e non solo da qualcuno, hanno bisogno di trovare chi li sappia capire e chi conceda loro la possibilità di sbagliare per imparare, hanno bisogno di fiducia, di sapere che la società che hanno intorno creda nelle loro energie, in ciò che rappresentano e li rispetti per questo, ma che li sappia anche incoraggiare e richiamare con la giusta determinazione. Il compatimento serve a poco, serve soprattutto trasmettere sicurezza e la convinzione che il cambiamento parta sempre da noi, dalla volontà con cui sappiamo liberare le energie positive che portiamo dentro.

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