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Attualità

ACQUE STORICHE

CESARE CHIERICATI - 29/06/2018

navigliNel 2011 i milanesi avevano risposto sì al quesito referendario sulla riapertura dei Navigli. A sette anni di distanza agli stessi cittadini viene ora chiesto di pronunciarsi su un primo progetto concreto di collegamento tra la Martesana e la roggia Vettabbia che sgorga spontanea e sotterranea sotto via Molino delle Armi. E questo cogliendo l’occasione dei lavori in corso della linea 4 della metropolitana. Verrebbe costruito un tubo sotterraneo di tre chilometri aperto in cinque punti importanti della città: Via Melchiorre Gioia, Conca dell’Incoronata, Via Francesco Sforza, Via Molino delle Armi, Conca di Viarenna, a due passi dalla riqualificata e frequentatissima Darsena di Porta Ticinese.

Potranno dire la loro su questa proposta i milanesi di età superiore ai sedici anni e anche chi frequenta abitualmente la città. L’esercizio di democrazia dal basso (con incontri pubblici nelle zone coinvolte, la consultazione di un apposito sito, l’esame della versione cartacea) è partito nelle scorse settimane e dovrebbe essere completato entro fine estate. Un primo importante passo in prospettiva verso un obbiettivo molto ambizioso e controverso, la riapertura della circonvallazione interna, ancora oggi definita non a caso Cerchia dei Navigli. Come dire che Milano punta in tutto o anche solo in parte a riscoprire il suo più antico profilo di città d’acqua completamente stravolto nel secondo dopoguerra, anche in quei tratti di canale scampati agli interramenti degli anni venti e trenta imposti dal fascismo meneghino.

Una parvenza di interesse era rimasto in vita nelle classe dirigente milanese finché la modernità ha per sempre ucciso in Lombardia – anni sessanta- il trasporto fluviale di merci, soprattutto di inerti per l’edilizia. Esaurita la funzione economica del canale, Milano ha girato le spalle alle sue acque. Via via la zona si è trasformata in una sorta di riserva indiana degli artisti meneghini, molti dei quali ancora fortunatamente presenti con studi e laboratori, poi in un chiassoso divertimentificio per il popolo della notte. Spontaneismo di mercato, spesso volgare, con il suo corollario di automobili in sosta perenne, ora esiliate, che rendevano invivibile l’intera zona che pure in alcune giornate limpide di primavera e autunno ritrova l’incanto cromatico di una stampa settecentesca. Né la Milano operosa del boom, né quella “da bere” di craxiana memoria seppero capire le motivazioni storico culturali, prima che economiche, alla base di un processo di radicale riqualificazione di quel che è rimasto dei Navigli di Milano.

Le colse invece appieno, sia in termini storici che pratici Empio Malara, architetto di origini calabresi trapiantato a Milano per ragioni di studio negli anni ’50, animatore assiduo, a partire dalla metà degli anni ’80, dell’Associazione Amici dei Navigli. Un lavoro instancabile di ricerca il suo, di progressiva e paziente quanto tenace riproposizione dell’intera questione al mondo della politica cittadina e lombarda. In molti suoi componenti del tutto o quasi inconsapevole – diciamo fino ai primi anni del nuovo millennio – di ciò che il sistema dei canali lombardi e milanesi aveva rappresentato in passato e di quello che avrebbe potuto rappresentare in futuro. Come poi risulterà evidente con l’apprezzatissimo recupero della Darsena in concomitanza con Expo 2015; con il rilancio di un tratto di navigazione urbana a partire dal numero 66 di via Alzaia Naviglio Grande, compreso il tratto urbano del Naviglio Pavese dove è stato fatto il restauro conservativo e funzionale delle due prime conche di navigazione: la Conchetta e la Conca Fallata.

Un puzzle complesso e delicato quello dei Navigli che nel suo compimento finale prevede il collegamento via acqua del Lago Maggiore a Venezia avendo, dopo Milano, come impareggiabile sfondo le corti del Rinascimento italiano. E’ in questa prospettiva di grande attrattività turistica che vanno collocati i lavori di adeguamento funzionale di conche e sbarramenti in buona parte già conclusi a Nord (diga del Panperduto e Miorina in territorio varesino) e sul Po a Sud di Milano (Conca di Isola Serafini). Tutte opere necessarie ma tuttavia non ancora sufficienti per trasformare in realtà un sogno d’acqua lungo 550 chilometri: da Locarno a Venezia appunto.

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