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Società

FRATELLI O IDIOTI

EDOARDO ZIN - 29/06/2018

Quando i migranti erano gli Italiani

Quando i migranti erano gli Italiani

“Vorremmo che nessuno rimanga indifferente, che nessuno dorma tranquillo, che nessuno si sottragga a una preghiera, che nessuno declini le sue responsabilità.”: così si conclude il testo che il consiglio pastorale diocesano, assieme all’arcivescovo, ha rivolto a tutta la chiesa ambrosiana, lunedì scorso, sul tema assillante delle migrazioni.

Il testo non condanna nessuno, non demonizza, non soffoca le parole, non è assertivo, non dà ricette. Pone domande, che chiedono risposte. Con rigore, con franchezza chiede di conoscere i fatti per poter giudicare. La parola del Consiglio è rivolta a tutti e appartiene a tutti i cristiani. Non adoperano, i consiglieri, parole inusuali, complicate.   E’ un invito a pensare perché “oggi ci sono molte parole da vendere, parole da comprare, parole per fare parole, ma mancano le parole comprensibili…per pensare” (Gianni Rodari). Sembra quasi che le parole del consiglio invitino a “comprendere”, (= prendere insieme), cioè a intendere pienamente il messaggio proposto nella sua globalità.

“Vorremmo che nessuno rimanga indifferente”. George Bernard Shaw era solito dire che il peggior peccato contro i nostri simili “non è l’odio, ma l’indifferenza” e stigmatizzava questo comportamento definendolo “l’essenza dell’inumanità”. Tale indifferenza, che provoca una specie di paralisi dell’anima, un disprezzo verso gli altri, ha colpito anche tanti cristiani: talvolta lo stesso vicino di casa è visto come un nemico. Per combattere questa indifferenza siamo chiamati a uscire verso l’altro, verso l’estraneo, verso colui che ci viene incontro per primo. Il diverso, il migrante è il nuovo uomo planetario, colui che contribuisce a prefigurare l’universalismo. Ciascuno di noi porta in sé qualcosa dell’altro, di cui non può vedere solo l’ombra, ma la luce che diffonde risorse ancora inedite.

“Che nessuno dorma tranquillo”. Papa Francesco dice che viviamo un cambiamento d’epoca. Tutti i cambiamenti storici hanno in sé intempestività e opportunità. Il primo millennio è stato il tempo della diffusione del Vangelo in tutta Europa, ma anche l’epoca delle grandi migrazioni, il secondo millennio ha scoperto il valore dell’uomo, ma ha visto la nascita degli imperi, degli stati-nazione, delle guerre di religione, il terzo millennio potrebbe essere contrassegnato dal volto dell’altro se alla paura sostituiremo l’audacia dell’accoglienza, dell’ospitalità, della convivialità. Tutte le migrazioni, per bisogno, per fuga dalla guerra, per fame, sono un fenomeno complesso che non si può liquidare con quattro beceri slogans: sono eventi incontenibili, ma non ingovernabili. Potremo essere tranquilli quando abbandoneremo le nostre paure e vedremo nei nostri simili che bussano alla porta un’occasione per uno scambio di culture, di esperienze, di spiritualità, di arte, di capacità di lavoro; perché ringiovaniscono la nostra popolazione invecchiata e di troppo bassa natalità. Perché non pensare che anche noi cristiani siamo quel “qualcuno”, quel “qualche cosa” che ha bisogno dell’altro? Perché noi lombardi vogliamo chiuderci, isolarci, proteggerci pur sapendo che la nostra ricchezza dipende dalle merci e dai prodotti che esportiamo in tutto il mondo? Non è questo un contegno ipocrita?

“Che nessuno si sottragga ad una preghiera”. Sì, è la preghiera sofferta, schietta, nuda, senza fronzoli che ci unisce ai nostri fratelli che vivono nella miseria. Sì, è l’assemblea domenicale attorno alla Parola e alla comune tavola, in cui il Pane eucaristico viene spezzato per essere condiviso fra i fratelli, che è fonte da cui scaturisce il nostro impegno verso di loro. Ma c’è anche la santa rabbia, l’indignazione che proviene dal diritto offeso: per gli assetati di giustizia chiediamo al Signore che non si ripieghino su se stessi, che continuino a trovare il coraggio per lottare e a coloro che detengono il potere chiediamo di non confondere l’autorità con l’arroganza e che la loro sfrontatezza non li accechi. Chiederemo al Signore che metta nei nostri cuori pensieri di pace, ansia di gratuità, capacità di riannodare vincoli, di allacciare nuovi legami perché questo è il solo modo per combattere l’odio.

“Che nessuno declini le proprie responsabilità”. Si tratta di ricostruire, attraverso il lavoro e la cultura, un tessuto vivo e durevole. I membri del Consiglio Pastorale si chiedono che cosa succede nel Mediterraneo, in Italia, in Europa.

Il Mediterraneo, il mare dell’incontro, delle comunicazioni, dello scambio di culture e culla delle religioni monoteistiche sa diventando il mare delle segregazioni. Il Mediterraneo non è più sede dell’armonia e della saggezza, ma del caos; il mare che ha generato le diversità è diventato luogo di scontro; le terre attorno al Mediterraneo, che Paolo descrive agli uomini del nascente cristianesimo come il luogo ove ”non siete più stranieri in soggiorno, ma concittadini dei santi, abitatori della casa di Dio”, è diventato l’epicentro di una linea sismica ove i porti vengono chiusi, uomini, donne e bambini rischiano di affogare. Noi, italiani, greci, spagnoli, maltesi all’odio dobbiamo sostituire la concordia, la compassione, la pietà. Per salvare l’Europa, tutta l’Europa, dobbiamo salvare il Mediterraneo!

L’Italia ha offerto la sua ospitalità. Generosissimi sono i volontari che si prodigano per salvare vite umane, per insegnare la nostra lingua, per trovare ai migranti un lavoro, ma è anche la terra dove si riduce l’uomo a schiavo costretto a lavorare per pochi spiccioli all’ora in condizioni umane, dove le donne si prostituiscono perché grande è la domanda del nostro mercato, dove perfino l’assistenza è fonte di tornaconti illeciti. L’Italia ha bisogno dell’aiuto dell’Europa, ma ora dovrà passare dalla solidarietà alla giustizia, che esige diritti e doveri.

E l’Europa? Non c’è. Essa agonizza sotto i colpi inferti alla sua unità dai governi dell’Unione: quelli del centro-oriente innalzano muri, dopo aver abbattuto quello che li divideva dall’occidente, in nome dell’identificazione dell’islam in un capro espiatorio; i paesi del Nord con un’antica tradizione democratica e di tolleranza culturale sono toccati da populismi xenofobi; rinascono vecchie contese di frontiera e si riaprono vecchie ferite inferte alla cultura locale. Sembravano, le malattie del nazionalismo, del populismo, dell’odio razziale, sepolte per sempre dopo Auschwitz ed invece sono rinate sotto l’ondata di banalità e di menzogne lanciate da leaders che tendono a trascurare non solo i dati reali, ma soprattutto l’opportunità dell’incontro. L’Europa rischia la decomposizione, nonostante i successi, perché non ha ancora una comune politica estera e di difesa, non ha un’autorità sovranazionale che possa far fronte alle esigenze dello sviluppo economico, è alla ricerca di una comune politica dell’emigrazione che non trova.

Martin Luther King ci ammoniva:” Dobbiamo imparare a vivere insieme come fratelli, altrimenti moriremo assieme come idioti”. Questa è la nostra risposta alle domande dell’Arcivescovo e del Consiglio Pastorale Diocesano.

 

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