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Editoriale

DIGNITÀ

MASSIMO LODI - 06/07/2018

La nazionale del Giappone

La nazionale del Giappone

Beh, anche noi abbiamo una dignità. Non come quella dei giapponesi che, dopo la crudele sconfitta ai mondiali, lasciano in ordine perfetto lo spogliatoio di Mosca e la scritta “Grazie Russia”. Ma insomma, qualcosa del genere la conserviamo, e ci aiuta a sostenere critiche, sberleffi, addirittura prepotenze che dall’estero c’indirizzano. Rispondendo alle esuberanze muscolari dell’Italia gialloverde.

Avendo bisogno d’un respiro profondo d’aria buona, nel primo assaggio d’estate rivalutiamo quel centro benessere che è lo sport. Per esempio (1) c’inorgoglisce l’impresa del sardo milanesizzato Tortu, giovanissimo recordman sui cento metri, mai nessun tricolore veloce come lui. Non è un’impresa solitaria, ci stanno dietro studio, fatica, competenza d’una intera scuola dell’atletica, non d’un individuo soltanto. Per esempio (2) c’inorgoglisce l’oro conquistato dalle azzurre della 4×400 ai Giochi del Mediterraneo. La notizia trascinante sul web è che trattasi di patriote dalla pelle nera. Ma non è una novità: ce ne sono tante e tanti così, e non girano solo su una pista arancione a strisce bianche. Aldilà di una strumentalizzazione o dell’altra, il succo racconta d’una multietnicità di fatto, che va oltre slogan di partito, demagogie spicciole, urne elettorali. Per esempio (3) c’inorgoglisce il bel mondiale che stanno disputando calciatori in attività nelle nostre squadre. Ci hanno portato il loro talento, noi glielo abbiamo affinato. Perché nessuno vanta allenatori e preparatori atletici del livello degl’italiani. Invece di continuare a piangerci addosso per una non partecipazione sfortunata all’evento russo (a Milano la jella fu determinante nella sconfitta con la Svezia, peraltro non una squadretta come sta dimostrando), dovremmo consolarci.

Questo poco per dare una spiegazione all’incipit sulla dignità. Forse vi sembrerà esagerato sottolinearne l’esistere nelle pieghe d’una società che spesso o volutamente la ignora o ne denunzia l’evidente assenza. Però se non ci diciamo che la botte ha un fondo e che, dopo averlo raschiato, la si può riempire di roba buona, dall’avvilente impasse di autodisistima non si esce. Più che del cambiamento materiale, questo Paese sembra aver necessità d’una rifondazione dello spirito. Intesa come coscienza delle proprie possibilità (non solo dei limiti), riconoscimento del proprio valore (non solo dei difetti), affermazione della propria importanza (non solo della marginalità).

Il complesso d’inferiorità che ci condiziona nel rapporto col resto del mondo, amplificato ogni giorno dalla sciagurata psicologia d’una mediocre classe politica, lo si supera soltanto pensando in positivo. Non certo atteggiandosi al contrario. Farò meglio di te perché ho più idee, talento, energia; non perché spero che tu ne dimostri di meno. Il vangelo laico innalzato ogni tanto sul podio di qualche comizio dovrebbe essere tale e non altro. È così che si vince la gara della modernità, altrimenti ridotta a una corsa a handicap in cui anche chi prevale lo deve ai demeriti degli avversari anziché ai meriti suoi. Nello sport non funziona a questo modo. Nella vita di ogni giorno idem. Se vogliamo chiamarla per davvero vita.

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