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Società

LA BARCA DI SAN PIETRO

ANNA MARIA BOTTELLI - 06/07/2018

barcaPer la sera del 28 giugno, fino a quando era in vita, mia mamma consigliava di tenere in casa almeno un uovo per rispettare la tradizione della barchetta o veliero di S. Pietro. A me bambina affascinavano i racconti delle tradizioni popolari del mondo contadino, nel quale erano vissuti i miei nonni materni. Erano abili osservatori della natura e di tutti gli eventi che attraverso essa si potevano interpretare a favore o no del loro raccolto, della quantità di uva per la produzione del vino, dell’adeguato approvvigionamento di fieno per il bestiame, della attenta e delicata metamorfosi dei bachi da seta, delle api con la variabile produzione di miele,  ecc. ecc.

Era come se tra i contadini di un tempo e la terra o il cielo ci fosse una sorta di alleanza che permetteva un’interpretazione empatica degli avvenimenti e quindi la previsione di essi – positivi o negativi – venivano accolti con una certa naturale rassegnazione: preoccupazione se negativi, gioia se positivi. Invocazioni o ringraziamenti durante tutto l’anno rappresentavano per il contadino la costante preghiera. La meteorologia sistematica non era ancora presente e quindi non poteva essere di aiuto: ma il colore delle acque del nostro lago, i loro moti ondosi – i miei nonni erano originari dei paesini rivieraschi – i cicli lunari, i vari Santi cui rivolgersi, rappresentavano una modalità “religiosa” ovvero di collegamento tra il nostro mondo terreno e quello soprannaturale, per un sostegno sicuro anche nei giorni di tempesta. A proposito di tempesta (così veniva definita dal contadino la grandine) proverbialmente – come sosteneva mia mamma – veniva detta particolarmente pericolosa quella del mese di maggio che, se abbondante, “rovinava tutte le campagne”. Era un mondo ricco di dignità e di concreta solidarietà quello rurale, anche se molto spesso, povero, come lo ha ben ricordato Ermanno Olmi nel suo celeberrimo film “L’albero degli zoccoli”. C’era la certezza che ogni spiga, ogni frutto, ogni piccola somma di denaro erano ottenuti col sudore della fronte, sempre con il rischio però che ad ogni nuova stagione tutto andasse disperso. Una grande fede in Dio sosteneva queste persone, che sapevano respirare gli umori del creato capace di presentare gli effetti benefici o malefici della natura. Quanti rosari, litanie, piccole silenziose richieste, venivano recitati con lo sguardo rivolto verso l’alto, ma a volte accompagnati da dubbi e paure!! E così con la schiena curva si continuava il duro e quotidiano lavoro dei campi.

Nella cùrt o nella cassìna, o nella cà con la stànza che dava sulla lòbia al piano superiore,  la vita di quelle grandi famiglie tra loro imparentate,  scorreva attraverso l’attenta sorveglianza del Regiù e della Massèra, il capofamiglia e la donna di casa. A dispetto delle famiglie unicellulari moderne tutto allora veniva condiviso: il raccolto, il pane, gli animali allevati e poi venduti, ma mangiati con parsimonia da parte loro,  il primo mosto – che tanto piaceva ai bambini dell’aia così da renderli simpaticamente “allegri” – ma anche i dispiaceri per qualcosa “andato male” o i momenti di festa per le ricorrenze familiari, la salute o peggio le malattie. Raccontava mia mamma che il loro “luminare medico” di riferimento allora – siamo attorno agli anni venti / trenta del novecento – era il mitico Pret de Ratanà ovvero Don Giuseppe Gervasini da S. Ambrogio Olona, figura di guaritore speciale, con un ricettario i cui medicamenti erano a base di erbe… ma non solo. Oggi la rilettura di certe componenti ci farebbe rizzare i capelli, ma allora grazie al potere di una fede granitica insieme ad una accettazione rassegnata di ogni evento, si rendeva la guarigione possibile o la morte ineluttabile.

E ora ricordiamo cosa succedeva in quei contesti rurali,  la sera di ogni 28 giugno, la vigilia della festività liturgica dedicata ai SS. Pietro e Paolo. Si provvedeva a pulire bene un contenitore di vetro in modo che diventasse ben trasparente e lo si riempiva di acqua. Si lasciava poi colare l’albume – ecco perché l’uovo non doveva mai mancare allora, ma non dovrebbe neppure ora se si vogliono mantenere le tradizioni – attentamente separato dal tuorlo. Il vaso così pronto veniva portato devotamente e accompagnato dal vocio dei bimbi,  all’aperto, meglio posato direttamente sul prato o comunque nell’orto, nel giardino o su un davanzale (poco consigliabile quest’ultimo). Lì veniva lasciato tutta la notte a contatto con la rugiada. Al risveglio tra lo stupore dei bimbi e la sorpresa speranzosa degli adulti, ecco la trasformazione dell’albume in una figura simile a un veliero o comunque a una barca, quella appunto usata da S. Pietro, il pescatore. La struttura del veliero rappresenterebbe una dedica del Santo ai fedeli, ma soprattutto per i tempi passati, un importante indicatore dal punto di vista meteorologico. Vele aperte:  sole, belle giornate, ottima annata per il lavoro dei campi, salute stabile, ma addirittura arrivo di un figlio o un matrimonio ritenuto poco probabile fino a quel momento. Vele chiuse: maltempo e pioggia, scarsi raccolti e danni vari. Il proverbio riferiva che se pioveva a S. Pietro, ci sarebbe stata pioggia per un anno intero. Tra fede e magia si racconta anche che durante la notte, S. Pietro stesso scendesse a soffiare nell’albume per dare la forma agli alberi del veliero o addirittura lasciare qualche sua sembianza tra le strutture cristallizzate dell’albume. Per i bimbi aveva e ha ancora il sapore di una fiaba. Per noi adulti è il sapore dei ricordi di un passato e di persone che hanno costruito la nostra storia familiare e locale.

 Ma tra fede e magia anche la scienza o meglio la fisica vuol dire la sua: le variazioni termiche tra il giorno e la notte, tipiche peraltro del primo periodo estivo, giustificherebbero il fenomeno. Il freddo-umido notturno dovrebbe aumentare la densità dell’albume che cade sul fondo del contenitore in vetro: ma lo stesso fondo a contatto col calore del suolo immagazzinato durante il dì, dovrebbe provocare la risalita delle molecole d’acqua verso l’alto, attraverso i cosiddetti moti convettivi, creando così le vele. Ma nelle prime ore del mattino l’albume dovrebbe riscaldarsi nuovamente, apparendo meno denso e tentando così di risalire verso l’alto per “ issare “ le vele.

Dopo diversi anni, la sera di quest’ ultimo 28 giugno ho voluto anch’io ricordare la tradizione dei miei avi e così al mattino del 29 la sorpresa della barchetta che allego in foto, con la vela issata e aperta. Auguriamoci per tutti che sia di buon auspicio.

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