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Presente storico

SETTE MINUTI

ENZO R. LAFORGIA - 06/07/2018

annegatoLa morte è una cosa semplice. Quando cessano le funzioni vitali, sopraggiunge la morte. I corpi morti sono corpi senza vita, come quello di Ivan Il’ič:

«Il morto giaceva, come fanno sempre i morti, in modo particolarmente pesante, sprofondato, con le membra irrigidite, nel giaciglio della bara, da morto, con la testa piegata, per sempre, sul cuscino, esibendo, come sempre esibiscono i morti, la sua gialla, cerea fronte stempiata e incavata ai lati, e un naso che sporgeva come se schiacciasse il labbro superiore.»

Il corpo giace senza vita e, nello stesso momento in cui il cuore si ferma, mentre la temperatura si abbassa, mentre le membra iniziano ad irrigidirsi e i visceri a svuotarsi, entrano in scena nugoli di batteri, che, senza incontrare più alcuna resistenza, si diffondono dappertutto. (Per farvene un’idea, leggetevi il bellissimo incipit della Morte del padre di Karl Ove Knausgård, prima tappa della sua monumentale autobiografia intitolata La mia lotta.)

Se la morte è una cosa semplice, il morire, al contrario, può essere molto complicato.

«Ivan Il’ič vedeva che stava morendo, ed era un uno stato di permanente disperazione.

In fondo all’anima Ivan Il’ič sapeva che stava morendo, ma non solo non era abituato a una cosa del genere, proprio non la capiva, non riusciva in nessun modo a capirla.»

Ivan Il’ič muore nel suo letto. Tolstoj ci dice che la sua era stata una vita normale, «semplice», «comune» e «orribile». Come lo sono quasi tutte le esistenze. Ivan Il’ič ha tutto il tempo di interrogarsi su come ha vissuto i suoi quarantacinque anni. Ma può capitare che il morire sopraggiunga all’improvviso. Senza dare il tempo di fare bilanci. Può cogliere l’uomo nelle situazioni più imprevedibili. E può essere una esperienza lunga e dolorosa.

In queste ultime settimane, mi sono interrogato su cosa si provi nel morire annegati. Nel morire annegati in mare. L’annegamento (o la morte in acqua) segue normalmente cinque fasi. Una prima fase è detta della sorpresa: è il momento in cui, chi sta per annegare, respira sempre più velocemente e cerca, con tutte le sue forze, di sfuggire all’annegamento. Poi, l’acqua inizia a sommergere il corpo dell’annegante: è questa la fase di resistenza. Istintivamente, si tenta di chiudere l’accesso del liquido ai polmoni, si reagisce con un’apnea, che può prolungarsi anche per un minuto. A questo punto, l’individuo non riesce più a trattenere il respiro: l’acqua penetra nei polmoni; viene ingoiata sino a raggiungere l’apparato digerente. L’annegante è nella fase dispnoica. Perde coscienza. Può perderla anche per un minuto. La fase apnoica è quella della morte apparente. I polmoni sono inondati. La funzione respiratoria si arresta. Nell’ultima fase dell’annegamento, nella fase terminale, quella detta anche del boccheggiamento, si registrano ancora atti respiratori. Ma sono ormai del tutto involontari. I polmoni non possono più ventilare aria, pieni, come sono, di acqua. In questo momento sopraggiunge la morte: il cuore cessa di battere.

Il morire in acqua salata dura di più del morire in acqua dolce. Nell’acqua salata, nel mare, ad esempio, il morire per annegamento può durare anche sette minuti. Sette minuti di agonia, non sono pochi. Ed è un’agonia dolorosa. Accompagnata dalla paura, dal terrore, dal panico. Chi muore per annegamento, non riesce, come il povero Ivan Il’ič, a fare il bilancio della propria esistenza. Cerca solo, disperatamente, di resistere alla morte, che arriva in modo violento.

I corpi degli annegati non sono belli da vedere. Tolstoj scrive che il suo Ivan Il’ič, composto nella bara, appariva più bello che in vita e il suo volto, come quello di tutti coloro che muoiono serenamente, era «più significativo di quello che aveva da vivo». I corpi degli annegati, al contrario, sono oggetti strani, irreali. La permanenza in acque fredde rallenta di molto il processo di putrefazione e gli occhi degli annegati sono sempre molto trasparenti. Sui corpi degli annegati si depositano alghe, sabbia… E ancora dopo che sono stati portati all’asciutto, dalla bocca e dal naso si affaccia il cosiddetto fungo schiumoso, una schiuma densa come il muco e mista ad aria, che viene prodotta dalle ghiandole bronchiali. I volti sono spesso cianotici: la pelle degli annegati può assumere, come dice il nome stesso, una colorazione bluastra.

Insomma, i corpi degli annegati non sono un bello spettacolo. Non diventeranno mai protagonisti di romanzi, forse non verranno mai ritratti dalla penna di un grande scrittore. A noi non vengono neppure fatti vedere. Tutt’al più, attraverso le immagini frettolose di un telegiornale, scorgiamo qualche inutile giubbotto di salvataggio, che non è riuscito a salvare una vita. Chi perde la vita nel Mediterraneo scompare dietro cifre asettiche. Annega due volte: una volta nel mare ed un’altra nelle statistiche, che sempre annullano ogni singola esistenza. Annega, in realtà, ben più di due volte: annega nei discorsi pubblici, nella retorica politica, nelle battute infelici, nel vomitatoio rabbioso dei social network; annega nel pietismo inutile, nelle ipocrite dichiarazioni di umanità; annega nelle prediche dei moralisti come nel cinismo degli imprenditori politici della paura; annega ogni volta che viene elevato a bandiera da sventolare per una qualsiasi parte politica, ogni volta, cioè, che diventa mezzo e non fine; annega nelle sterili discussioni da salotto.

Alla fine, chi annega nel mare Mediterraneo, è sempre e solo un uomo che muore. Ma non come Ivan Il’ič. Muore dolorosamente, lottando per sette lunghi minuti con la morte, tra spasimi dolorosi, angoscia e paura. Ogni volta che un uomo annega nel Mediterraneo, andando ad aggiungersi alle migliaia di altri uomini che muoiono annegati, annega anche un po’ di ciò che resta della nostra fiacca umanità.

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