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Il Mohicano

IN PERICOLO

ROCCO CORDI' - 13/07/2018

europaTra dieci mesi, esattamente il 26 maggio 2019, il voto degli europei potrebbe decidere la fine dell’Unione oppure un suo nuovo inizio. Purtroppo, ad oggi, la seconda ipotesi appare la più improbabile e non certo per la cattiveria dei “sovranisti” o dei nazionalisti o dei populisti che dir si voglia. Contro di loro ci si può agitare e lanciare invettive quanto si vuole, ma è legittimo dubitare che l’esercizio abbia qualche utilità. Anzi la realtà ci dice che spesso gli allarmi e le critiche hanno prodotto l’effetto contrario. E questo perché le forze politiche e i governi che hanno finora guidato l’Unione non sono stati in grado di percepire e comprendere in tempo le cause reali di un malessere sociale che nell’ultimo decennio é cresciuto a dismisura. Ed è su questi processi che è nato e cresciuto il successo elettorale delle varie formazioni “populiste” al punto che le spinte disgregative possono avere la meglio. L’inerzia e l’incapacità politica di chi era sulla plancia di comando hanno fatto il resto.

L’auspicabile inversione di rotta può essere operata solo affrontando di petto e con spirito fortemente innovativo i problemi rimasti sul tappeto per troppo tempo. A partire dalla questione economica e sociale. A fronte delle diseguaglianze crescenti e intollerabili non basta qualche piccola “correzione di linea”. È tutta la politica economica degli ultimi anni che va rimessa in discussione e non solo a parole, ma con atti e provvedimenti che dimostrino concretamente che l’idea di una Europa sociale e solidale non è una enunciazione astratta, ma un programma di governo, una azione concreta volta a condizionare il potere dei pochi per favorire la crescita dei molti. Se negli anni passati abbiamo assistito al trionfo delle logiche di mercato e delle forze che lo dominano con una impressionante resa della politica nei loro confronti, solo una netta inversione di tendenza può determinare oggi le condizioni basilari per riconquistare consensi. A maggior ragione la “conversione” dovrebbe valere per i soggetti di sinistra che, per natura e storia, erano portatori di culture e progetti alternativi e che hanno pagato duramente il loro abbaglio modernista.

La cosiddetta politica di austerità imposta con ogni mezzo ha lasciato sul campo milioni di persone in una condizione di precarietà e di grave incertezza sul futuro. Ed è solo ripartendo da qui, da quanti hanno pagato il prezzo più alto alla crisi, che l’Unione Europea può riacquistare forza, credibilità, consenso.

La stessa questione dell’immigrazione per essere affrontata seriamente non può che essere collocata dentro una strategia più generale in cui politica economica e sociale, globalizzazione e politica estera, diritti del lavoro e diritti umani, sono un tutt’uno organico e coerente. Se invece viene ridotta a mera materia di ordine pubblico allora inutile stupirsi se ad aver la meglio sono gli imprenditori della paura. Quelli che per puro tornaconto elettorale, soffiano sul fuoco giocando cinicamente sulla pelle delle persone e alimentando preoccupazioni e timori di ogni sorta, anche irrazionali.

Ma, ancora una volta, sono questi ultimi a trarre vantaggio dal quadro incerto e confuso che regna sovrano da ormai troppo tempo. Pensiamo al recente vertice di Bruxelles. L’incontro tra i vertici europei che avrebbe dovuto segnare una svolta o quantomeno un passo avanti nel superamento delle tensioni esistenti tra gli stati, si è concluso con un nulla di fatto. Anzi ha contribuito a complicare ulteriormente le cose scrivendo un “accordo” il cui testo, a partire dal giorno dopo, è diventato oggetto di una guerra interpretativa da lasciare esterrefatti.

Per sollecitare i capi di governo ad assumere decisioni non più rinviabili e umanamente sostenibili alcuni giornali europei avevano pubblicato, alla vigilia del vertice, un agghiacciante “promemoria”: l’elenco integrale dei 34.361 emigranti annegati nel Mediterraneo. Cinquantasei pagine riempite di persone vere ridotte a numeri e con l’indicazione dei loro paesi d’origine e della fine del viaggio. Un tragico bilancio che nel solo primo semestre di quest’anno conta oltre mille morti.

Tutto questo non è bastato neppure a scalfire la corazza di una Europa sempre più divisa e che si illude di risolvere i problemi mettendo all’indice le ONG o “spostando” i suoi confini in Africa dove “occhio non vede e cuore non duole”.

L’impotenza a fronteggiare fenomeni complessi e di lunga durata accompagnata dall’irresponsabile cinismo di cui danno prova i governanti europei, a partire da quelli italiani, prima o poi si riverserà su tutti aggravando le situazioni all’interno dei singoli Paesi e facendo precipitare ulteriormente la crisi di credibilità e la stessa legittimazione della stessa Unione Europea.

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