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Attualità

TEMPO DI FESTA

MANIGLIO BOTTI - 20/07/2018

Notte rosa a Rimini

Notte rosa a Rimini

Non per fare il Berlusca, che non vedeva poveretti da nessuna parte, tanto meno poveri italiani, ma soltanto facce gaudenti, ristoranti e pizzerie strapieni di avventori, code in autostrada e agli autogrill, alberghi sempre con esposto il cartello del tutto esaurito. Ma forse quella polemica tra ipotesi e realtà, tra speranze e programmi politici aveva qualcosa di vero. E la sconcertante disamina berlusconiana inguaribilmente ottimistica tra situazione percepita e situazione reale magari trovava qualche fondamento.

A questo si pensava, giorni fa, sull’intera riviera romagnola impegnata in uno dei suoi eventi folclorico-turistici più importanti dell’anno: la Notte rosa. Gente spensierata nelle strade, locali sempre aperti con conseguenti ottime entrate, una voglia di esuberanza e di divertimento godereccio senza limiti, mai vista in altri momenti; un’evoluzione – si è già arrivati alla tredicesima edizione – di quella che, negli anni Settanta, era stata la famosa Estate romana ideata dall’assessore alla cultura dell’epoca della Città eterna Renato Nicolini. Eppure, anche in quegli anni Settanta, non è che ci fosse molto da festeggiare. Anzi, l’Italia stava vivendo uno dei periodi più bui e più cupi del Dopoguerra e della sua storia.

Che qualcosa non funzioni sembra chiaro, che i conti non tornino altrettanto. Perché dai fasti della Notte rosa alle dichiarazioni in tv del politico di turno, che enumera in quattro milioni e mezzo il numero degli italiani che non superano coi loro denari la terza settimana del mese, e con altri sei milioni ormai condannati a varcare la soglia della povertà il passo è breve.

E da qui anche una politica di contenuti: “Prima gli italiani!”. “Che ci vengono a fare qui da noi quelle mandrie di poveracci sui barconi, a rubarci il pane che è già poco?”.

È difficile dare risposte semplici a problemi complessi. Proprio qualche giorno fa sul Corriere della Sera, in un articolo di fondo, si spiegava per esempio che il bilancio del turismo nel nostro Paese è sempre andato crescendo, magari di poco anche negli anni della crisi infinita, ma crescendo. Ora, è vero che i vantaggi del turismo derivano spesso da un mercato non sempre autoctono, ma sembra che anche gli abitanti di altri Paesi a noi vicini e confinanti non nuotino proprio nell’oro. Eppure qui si festeggia. Come e meglio di prima. E da più di dieci anni.

Il negare che qualcuno non riesca a sfangarla o non ce la faccia a tirare la fine del mese rischierebbe di farci arrivare al linciaggio. Il nostro non è un “paese di ricchi” e nemmeno il bengodi d’Europa. Però, il sospetto è che a dominare non sia la povertà vera e propria esistente e tangibile – chi è stato come chi scrive ragazzo negli anni Cinquanta e cresciuto nelle case popolari sa di che parla – ma la paura di andarci di nuovo vicino, e magari la paura di essere noi italiani a ritornare a navigare sull’Oceano a bordo di barconi, come quei neri, quegli uomini, quelle donne incinte, quei bambini con le facce disperate e stralunate.

Noi ricchi? E i terremotati? E gli esodati? E i cassintegrati? E i cassintegrati? E i suicidi? E le file davanti alle mense della Caritas?

Per intanto chiudiamo i porti sul Mediterraneo e teniamoli aperti agli yacht. Festeggiamo, le notti e i giorni rosa, anche se v’è chi sospetta d’essere sul Titanic che sta per colare a picco. Per il futuro si vedrà. Esiste o no lo stellone dell’Italia?

 

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