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Attualità

PELLEGRINI

EDOARDO ZIN - 20/07/2018

Pellegrini sul Cammino di Santiago

Pellegrini sul Cammino di Santiago

Siamo nel pieno dell’estate: una stagione nella quale i miei nipoti fanno le capriole sul prato del giardino e si rincorrono lungo un pendio, mentre io lo godo la sera, quando la terra riposa, le ombre si allungano, il buio avanza e respiro l’alito magico del crepuscolo.

A caldi giorni afosi si sono alternati temporali che hanno diffuso una tenue frescura e dopo i tuoni, la grandine, il vento, il Monte Rosa mi appare più vicino, deciso a consolarmi per il mio forzato riposo sulla piccola collina che domina il lago e che gode della brezza che scende dal Campo dei Fiori.

E’ estate, tempo di vacanze.

L’oratorio, che ha accolto più di trecento tra ragazzi, animatori e adulti, si è chiuso. E’ diverso l’oratorio della mia fanciullezza da quello dei giorni d’oggi. E’ giusto che sia così. I tempi cambiano: non c’è più la povertà di un tempo, alcune famiglie sono “allargate”, la scuola ha diffuso cultura (così, almeno, si spera!), nuove tecnologie hanno portato il mondo in tasca, la Chiesa è impegnata a far conoscere di più la Parola che la morale, ad educare a una fede che sia più un incontro con Gesù piuttosto che un’astratta serie di precetti.

L’oratorio, oggi, svolge non solo una funzione educativa, soprattutto di socializzazione in giornate in cui anche i più piccoli sono costretti a vivere una giornata programmata tra casa, scuola, piscina, lezione di judo o di tennis, catechismo… Ed è diventato interculturale l’oratorio d’oggi: Carlo saluta Alì con “shalom” e questi risponde con “ciao!”. Giocano partite che saranno indimenticabili con le magliette madide di sudore, nuotano e scherzano nell’acqua della piscina, visitano luoghi sconosciuti, fanno i compiti assistiti dai compagni più grandi, provano l’umorismo spregiudicato, divorano enormi piatti di pastasciutta preparati da encomiabili cuoche volontarie: il tutto in un clima di chiassosa allegria, che talvolta diventa assordante.

Vorremmo consigliare agli educatori di far provare anche ai ragazzi qualche minuto di silenzio. Già le nostre strade sono piene di rumori, le case di suoni. Abituiamo i nostri ragazzi, maniaci del suono, a gustare il silenzio, magari con un leggero sottofondo di musica classica: hanno bisogno di ascoltare se stessi che non sia la noia, la loro povertà, forse le loro paure. Ed è nel silenzio che gli adolescenti scopriranno le ragioni del loro vivere e la bellezza della preghiera che è soprattutto silenzio per ascoltare il Signore che parla.

Dopo l’oratorio, molti ragazzi ed adolescenti partiranno per i campi-estivi verso mete splendide offerte dalle nostre montagne. Se fossi un genitore o un educatore, vieterei di portare nello zaino cellulari, tablet, I’Ipad, White shape. Vorrei che durante il campo estivo, i ragazzi percorressero in silenzio, lentamente, i sentieri faticosi, disseminati d’ostacoli, già percorsi da secoli dalla gente di montagna, per giungere alla baita o alla vetta anche per misurare le loro forze. Arrivati lassù inviterei a contemplare il sole che tramonta dietro le creste, a udire la voce decisa o trasognata del vento che passa veloce e poi si tace o quella del ruscello che corre, precipita a valle, s’impenna contro le rocce. Inviterei i giovani ad ammirare i colori dell’azzurro del cielo, il bianco delle nubi, il grigio della roccia, il verde dei pascoli fioriti che si alternano ai boschi e al delicato profumo della resina: in un tempo   in cui l’umanità è perduta nell’orgoglio scientifico e tecnologico, recuperare l’anima delle nostre montagne è recuperare il soprannaturale. Quando si ascende nasce spontaneo il bisogno di una sosta, di una preghiera, di un’implorazione per una vera fratellanza tra i popoli. Allora, occorre, sempre nel silenzio, fare spazio al Signore delle Cime perché Lui non è chiassoso, invadente, ma chiede raccoglimento.

Molti giovani ed adulti, da soli o con pochi amici, si mettono in cammino verso Santiago di Compostela, alcuni partono dalla fontana di Saint Michel (sulla riva sinistra della Senna, vicino al quartiere latino) a Parigi e raggiungono Mont Saint Michel, in Normandia, o Chartres o Tours o Reims. Altri intraprendono la via francigena per raggiungere Roma o “la via di Francesco” da La Verna a Greccio o quella di Antonio da Padova a La Verna o quella di Benedetto da Norcia a Subiaco, raggiungendo poi Montecassino. Nella loro bisaccia mettono l’essenziale, ciò che è più funzionale per chi cammina al sole, sotto la pioggia; in mano un bastone per camminare; ai piedi delle calzature adatte; al collo un segno per indicare che sono pellegrini. Hanno una meta, ma non sanno dove posare il capo la notte o dove rifocillarsi: troveranno accoglienza presso famiglie, monasteri, ostelli. Non tutti sono credenti: camminano in cerca dell’amico che abita in loro o verso un santuario a cui attingere la forza per reagire al peso che si portano dietro.

I pellegrini incontrano sulla loro strada altri viandanti come loro. S’incontrano, si salutano, scambiano poche parole, poi a sera attorno ad una tavola o a un fuoco di bivacco approfondiscono l’amicizia, condividono gioie e dolori. E all’alba riprendono il cammino verso la meta.

Coloro che salgono la strada delle cappelle del nostro Sacro Monte dovrebbero avere il medesimo spirito: silenzio, fermarsi a meditare ad ogni cappella, guardarsi attorno e soprattutto in alto, proseguire dopo aver ripreso il fiato, pregare con la mente e con il cuore, ricordare. Come hanno fatto in quest’anno centenario molti giovani studenti di tutta Italia che hanno percorso la strada delle gallerie del Monte Pasubio o i turisti delle Dolomiti che in questi primi giorni di vacanza affollano le trincee delle 5 Torri o del monte Piana o del Paterno.

Ci sono, infine, anziani che sentono ancora sorgere in loro il vigore della vita, ma non possono percorrere faticosi sentieri. Si accontentano di ricordare, di vagare come in un sogno per luoghi percorsi da giovani o nella maturità o di riviverli attraverso il racconto di figli e nipoti che oggi percorrono viottoli, boschi e creste sulle orme indicate dai genitori. Per i vecchi l’imperturbabile cammino è un aspettare, un ascoltare la voce della vita che echeggia in loro e che li porterà alla gioia della Gerusalemme celeste.

L’estate ci ricorda che tutta la vita è un cammino compiuto assieme ad altri.

Ce lo ricorda anche il nostro arcivescovo che nella sua prima lettera pastorale “Cresce lungo il cammino il suo vigore”. Così si esprime:” Siamo un popolo in cammino. Non ci siamo assestati tra le mura della città che gli ingenui ritengono rassicurante, nella dimora che solo la miopia può ritenere definitiva…Viviamo vigilando nell’attesa. Viviamo pellegrini nel deserto. Non siamo i padroni orgogliosi di una proprietà definitiva che qualche volta, eventualmente, accondiscende all’ospitalità; siamo piuttosto un popolo in cammino nella precarietà nomade. Possiamo sopravvivere e continuare la rischiosa traversata perché stringiamo alleanze, invochiamo e offriamo aiuto, desideriamo incontri e speriamo benevolenza. Perciò i pellegrini, persuasi dalla promessa, percorrono le vie faticose e promettenti, si incontrano con altri pellegrini e si forma un’unica carovana: da molte genti, da molte storie, da molte attese e non senza ferite, non senza zavorre”.

E’ la nuova Chiesa pellegrina in questo mondo, attenta ai segni del tempo.

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