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Opinioni

GUARDIAMOCI INTORNO

FELICE MAGNANI - 20/07/2018

fragilitaIn questi anni di trionfo energetico, di euforia digitale e di vertiginoso progresso tecnologico si è parlato poco di coscienza, è come se l’uomo l’avesse cancellata dal suo stile di vita, timoroso di non poter dare libero sfogo alla propria volontà, ai propri istinti e magari in certi casi di essere quasi convinto do essere diventato immortale. Purtroppo però le cose non vanno sempre come si vorrebbe, perché esiste una condizione dalla quale diventa impossibile evadere o emanciparsi, salvo riconoscerla impotente quando non ci permette di fare tutto quello che vorremmo.

La condizione umana è straordinaria sempre, perché pur essendo irripetibile e a tratti facilmente riconducibile, si blocca davanti al senso di incompiuto che la accompagna, anche quando parrebbe essere diventata insensibile e superiore alle fragilità che la compongono e la definiscono, si ritrova a porsi domande, a cercare di trovare una via che la rincuori, che le permetta di guardare oltre con una certezza in più.

Oggi si parla molto di fragilità, se ne parla in senso negativo, ma anche per tutto quello che di positivo porta con sé. Ritorna in auge l’antica dicotomia legata all’essere e all’avere, a quel senso di smarrimento che coglie l’essere umano ogniqualvolta si ferma a pensare, a misurarsi con quella realtà nella quale sembra rocambolescamente essere capitato. Il tema della fragilità umana esiste da sempre ed è forse per questo che si è dato molto spazio alle discipline che indagano dignitosamente sull’origine dell’uomo e su quelle dell’universo, perché in moltissimi casi il grande mistero rimane e affascina più di quanto si possa immaginare.

Essere fragili è una colpa? Un limite? Una iattura? L’idea che quel mondo in cui abbiamo la fortuna di vivere non sia così chiaro nelle sue intenzioni genera spesso un certo smarrimento, da cui l’uomo cerca di evadere in vari modi, ma senza mai uscirne con una coscienza precisa, resta sempre infatti una sospensione, una reticenza, qualcosa di cui non si riesce a definire bene l’origine o il contenuto. E’ nei momenti difficili della vita umana, quando l’ostacolo da superare si presenta nella sua spietata durezza, che incombono pensieri mai vissuti prima, pensieri che corrono a filo di una speranza o di una idea che siano ispiratrici di nuove possibilità.

La forza dell’uomo sta anche in questo, nel riconoscersi sostanzialmente fragile e quindi bisognoso di aiuto, anche quando tenta di convincersi di essere diventato immortale. Uno dei problemi di oggi è che si parla troppo poco di spazi e misure, di rapporti e correlazioni, di vincoli e di condizioni, si parla pochissimo di vita eterna, di coscienza religiosa, di condizione, di quale valore dare alla propria vita, come viverla, che tipo di speranza adottare e di quali vie siano più giustamente percorribili per arrivare alla meta che ci siamo prefissi. In questi anni è un po’ caduta in disuso la dipendenza dall’Alto, con il risultato che a una dipendenza benefattrice di gioia e di speranza, se ne sostituiscono altre che distruggono e annientano, impedendo agli esseri umani, soprattutto ai giovani, di crescere nella coscienza di Dio. Nella filosofia corrente l’idea di Dio esiste ma in una misura subalterna, anche Dio è stato addomesticato al punto che ciascuno lo decompone e lo ricompone a seconda dei propri bisogni e delle proprie necessità.

L’idea di Dio, correlata alla sacralità, ha retto per secoli a quel senso di vuoto cosmico che accompagna la condizione umana, lo ha riempito, lo ha reso ricco e vitale, ha delineato una nuova via dell’essere, legata in parte all’immanenza, ma sostanzialmente vocata a una trascendenza incarnata, in cui diventa più facile commisurare i problemi umani e orientarli verso porti più sicuri, più adatti alla stabilità emotiva, alla capacità di conoscere e di saper distribuire meglio quel patrimonio di energia che madre natura ha voluto concederci. Il cristianesimo ha messo un punto fermo nella vita dell’uomo, rassicurandolo sulla sua condizione e cercando di stimolarlo a condurre una vita in cui l’orientamento fosse più chiaro e benevolo. Con il cristianesimo il senso religioso si umanizza, assume le sembianze di una strada percorribile, anche se il rischio è stato quello di distruggere l’immanenza a vantaggio della trascendenza. Chi ha vissuto intensamente il catechismo in tutte le sue forme si è reso conto che la vita poteva avere un valore straordinario e ha imparato che i valori, quando sono tali, fuori da ogni demagogia applicata, vanno difesi, approfonditi, sostenuti e fatti vivere. Una delle principali difficoltà del cristiano è proprio quella di far vivere quei valori che gli sono stati lasciati in eredità per condurre una vita di senso, in cui fosse possibile stabilire un equilibrio, un’armonia emotiva con il mondo e le sue creature. Le emozioni hanno sempre avuto una valenza straordinaria nella vita di relazione, l’hanno colorata, valorizzata, resa più viva, audace, capace di muovere i fremiti e i battiti.

È nel gioco delle emozioni che si sono sviluppati i legami educativi, è nella coscienza dell’essere che si amplia la visione umana, è nella coscienza cristiana che prende forma quel sistema morale che subordina la vita del mondo a quella più sottilmente spirituale, dove ogni cosa ha un valore e dove l’anima sviluppa la sua energia ausiliatrice. La fragilità aumenta e solidifica là dove non esiste la speranza, dove la vita finisce senza lasciare aperta una porta o una finestra dalla quale possa uscire o entrare uno spirito nuovo, meno vincolato, più libero, più capace di autodeterminarsi e di sviluppare la propria materia morale. In questi anni di materialismo storico e di materialismo cosmico, come affermava il buon Leopardi, dove l’infinito assume sempre di più il senso di un tragico tuffo nell’imponderabile, ci si convince che qualcosa di molto importante sembra essersi affievolito fino a dissolversi e cioè la caduta verticale di ogni forma di sacralità,di rispetto umano, di attenzione e di studio, di ricerca e di obbedienza. Viviamo in una società in cui la libertà si tende fino a diventare inconsistente e dove la non sacralità lascia il posto a surrogati incapaci di rimettere in equilibrio un senso, una misura, si tratta di una realtà che perde per strada la sua stabilità emotiva, la sua capacità di dare e ricevere risposte, di ritenere comprensiva la propria necessità di domanda, di trovare il punto d’appoggio a cui affidare la propria incertezza. E’ su questo terreno instabile che la fragilità si accumula, si appesantisce, perde quella elasticità percettiva che le concede di librarsi sopra il materialismo.

Il materialismo conserva un fascino straordinario, soprattutto quando dà l’impressione di comandare il mondo, di potere tutto con il potere, il denaro, la fama, il successo, è la conquista di chi vive nell’immobilismo, in una condizione statica della vita. Riconoscere la fragilità, darle un volto, farla vivere, riammetterla nel mondo mantenendo viva una dimensione meno temporale e più spirituale, meno avvilente e più cristianamente aperta ai valori, può essere una nuova chiave di lettura di un passato che diventa presente ogni volta che ne sappiamo cogliere l’ampiezza. Dunque la fragilità diventa forza quando si ricompone e si riappropria di un’ identità, quando si convince che nulla resta per sempre e che ogni cosa, per quanto preziosa, è soggetta a un’evoluzione, a una conferma che trova nell’idealità cristiana la via di approdo a un mondo in cui tutta la persona si senta amata e rappresentata.

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