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Società

CHIESA PELLEGRINA

EDOARDO ZIN - 27/07/2018

lettera“La chiesa guarda al mondo con immensa simpatia. Se il mondo si sente estraneo al cristianesimo, il cristianesimo non può sentirsi estraneo al mondo, qualunque sia l’atteggiamento del mondo verso la chiesa”: così Paolo VI nel discorso pronunciato a Betlemme per l’Epifania del 1964. Chissà se al nostro Arcivescovo risonava nel suo cuore questo famoso passo del discorso di papa Montini nel momento in cui redigeva la sua prima lettera pastorale “Cresce lungo il cammino il suo vigore” pubblicata il 16 luglio scorso!

Dopo aver descritto la Chiesa come un popolo che è pellegrino nella città terrestre verso la città santa, la nuova Gerusalemme, Delpini sviluppa il suo pensiero partendo dalla “consapevolezza di essere la Chiesa in debito verso questo tempo e questo mondo”. È il ricordo di Montini – che da arcivescovo promosse la “missione di Milano” – e che da Vescovo di Roma orientò il Concilio al confronto, al dialogo, alla simpatia per la modernità di cui tratta anche il messaggio pastorale dell’ultimo dei suoi successori sulla cattedra di Ambrogio.

L’arcivescovo invita la chiesa ambrosiana a “pensare e praticare con coraggio un inesausto rinnovamento/riforma”, a non assestarsi “tra le mura della città che gli ingenui ritengono rassicurante, nella dimora che solo la miopia può ritenere definitiva” perché la Chiesa “non assolutizza mai forme, assetti, strutture e modalità della sua vita”. E ancora: “Non ha fondamento storico né giustificazione ragionevole l’espressione “si è sempre fatto così” che si propone talora come argomento per chiedere conferma dell’inerzia e resistere alle provocazioni del Signore che trovano eco nelle sfide presenti”. L’aveva già scritto nella sua lettera di saluto alla diocesi al momento del suo insediamento: “Non si può evitare di interpretare le vicende vissute, almeno per non ricadere negli stessi errori e per non ostinarsi in percorsi senza esito”. È un incitamento coraggioso a non lasciare fuori dall’insegnamento della Chiesa e dal culto la realtà della terra, del lavoro, della vita reale, concreta.

Non manca un biasimo verso chi frequenta la comunità, ma rimane ai margini perché gli mancano gli elementi indispensabili per la creazione di una comunità viva: l’aspirazione a una convergenza, la ricerca di un orizzonte comune nella società, la responsabilità verso l’altro, il disinteresse, la realtà animata non dalla differenza, ma piuttosto dalla somiglianza: ”Anche frequentatori assidui degli ambienti parrocchiali sono spesso insensibili alle proposte di partecipazione costruttiva all’impresa comune di rendere più abitabile il mondo e più solidali le relazioni.”

L’arcivescovo invita a custodire e a rilanciare l’umanesimo cristiano “in cui si integrano la fede, il senso pratico e la speranza, la cura della famiglia e per la sua serenità, la gioia per ogni vita che nasce, la responsabilità dell’amore, la serietà alla parola data, la fierezza per il bene che si compie e insieme un senso del relativo che aborrisce ogni esibizionismo, una inclinazione spontanea alla solidarietà e una prontezza nel soccorrere, la serietà professionale e l’intraprendenza operosa, l’attitudine a lavorare meglio e la capacità di fare festa, una radicata fiducia e una vigile capacità di risparmio e di vigilanza.” In una società segnata da odio, da concorrenza, da disgregazione, da opposizione, nella quale non siamo nemmeno più capaci di parlarci senza ricorrere ai toni della barbarie, l’insegnamento del Pastore invita i cristiani al confronto, a giudicare le proprie e altrui contraddizioni, all’incontro e alla condivisione.

In questo tempo, dove sembra mancare un orizzonte comune, in cui si assiste al fiorire di atteggiamenti ispirati da paura, Delpini richiama le radici dell’impegno sociale dei cristiani ambrosiani. Col tempo, esse si sono avvizzite, ma ci sembra che un nuovo dinamismo stia per ravvivare la loro presenza nella società. Con sobrietà, discrezione, concretezza, senza “essere mascherata per timidezza, per un complesso di inferiorità, per la rassegnazione a una separazione inguaribile tra i valori cristiani e la logica intrinseca e indiscutibile della realtà mondana”, la loro presenza si presenta come incontro e confronto con gli altri. Troppo spesso negli ultimi decenni alcuni cristiani hanno dato l’immagine di una loro presenza tesa a conservare posizioni di potere, non per servire il bene comune, bensì per proteggere interessi di parte. Invece del dialogo, è stata praticata l’esclusione, al posto dell’ascolto dell’altro, la condanna, invece della comprensione o della tolleranza, si è manifestata la durezza.

 Il nostro Arcivescovo ancora una volta – e l’invito è rivolto a tutti, preti e laici – insiste perché venga curata la Parola durante l’Eucarestia domenicale e durante “l’insegnamento catechistico…negli incontri di preghiera, nei percorsi di iniziazione cristiana, nei gruppi d’ascolto, negli appuntamenti della Scuola della Parola”. È proprio la Parola di Dio, “guidata con un metodo e condotta con sapienza”, che risuona nella liturgia o nei diversi gruppi, che essa raggiunge uomini e donne non cristiani o lontani – presenti a battesimi o a funerali – e svela loro il mistero per entrare in relazione con il Signore.

È dunque “una chiesa in uscita” quella delineata dall’ Arcivescovo. Non una chiesa rinchiusa perché ha paura del mondo, tesa a conservare la memoria, ma una chiesa che dialoga con il mondo d’oggi annunciandogli la buona novella, unico vero debito – lo disse l’arcivescovo a tutti il presbiterio diocesano riunito per la messa crismale del giovedì santo – che la chiesa ha verso i non credenti. È una chiesa che assume la povertà come stile, paradossalmente “una chiesa più ricca, in modo che possa fare maggiormente del bene ai poveri!”, come si espresse un vescovo. È una chiesa umile, opposta al mondo d’oggi che si presenta con toni arroganti, forti e aggressivi. È una chiesa che ascolta tutti: l’umanità intera, i credenti in Dio, coloro che Lo cercano, le diverse componenti della chiesa (preti, diaconi, religiosi e fedeli laici).

In questa visione si comprende meglio il significato della chiesa “pellegrina” in questo mondo, di gente che cammina assieme, ognuno con le proprie difficoltà e con i suoi doni e ognuno agendo con le proprie forze: i sacerdoti celebrando l’Eucarestia e impartendo i sacramenti, annunciando la Parola Dio, presiedendo alla carità, i laici portando a termine i compiti e le responsabilità che vengono loro affidate nella comunità ecclesiale e nel mondo.

Camminare assieme, dialogare, in comunione con Dio e con gli uomini possono sembrare azioni desuete; gratuità, dono, comunione possono diventare parole ormai stucchevoli: sono tali se puntano solo alla riforma delle istituzioni, ma se indicano un nuovo dinamismo, una rinnovata presenza nel mondo d’oggi, una profezia che si nutre dell’autentica Tradizione possono divenire la novità nel modo per rapportarsi con l’umanità d’oggi e con la modernità.

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