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Presente storico

PERSECUZIONE

ENZO R. LAFORGIA - 06/09/2018

leggi-razzialiCaro Direttore,

rispondendo al tuo invito, oggi, 5 settembre 2018, mi sono messo a scrivere il consueto, modesto contributo per il giornale che dirigi. Ma il caso vuole che proprio il 5 settembre di ottant’anni fa sia stato emanato il regio decreto-legge n. 1390, ricordato, proprio oggi, da tutti gli organi di stampa: quando ancora mancava più di un mese all’inizio dell’anno scolastico (quell’anno avrebbe avuto inizio il 17 ottobre) e in assenza di un preciso ed univoco intervento legislativo che definisse l’ebreo da perseguitare, in sette articoli fu stabilito che gli ebrei non avrebbero più potuto avere accesso a scuole, università e istituzioni scientifiche.

In realtà non è stato questo il primo provvedimento antiebraico intrapreso dal Ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai (il Ministero della Pubblica istruzione aveva cambiato nome il 12 settembre 1929). Come scrisse Renzo De Felice, Bottai, nell’estate del 1938, «si scatenò in ogni direzione» per muovere guerra contro gli italiani ebrei. Il 6 agosto il Ministro aveva sollecitato i Rettori delle Università affinché negli Atenei fosse garantita la massima diffusione della rivista «La Difesa della Razza» (il cui primo numero era uscito il giorno precedente), presentata come l’organo ufficiale del «movimento razzista italiano». All’8 agosto, invece, risale la circolare n. 12495 riguardante il divieto di iscrizione per gli alunni stranieri ebrei, già annunciata pubblicamente il 3 agosto.

Successivamente, Bottai rivolse l’invito a promuovere la lettura della «Difesa della Razza» ai dirigenti di ogni ordine scolastico. Il Regio Provveditore agli Studi di Varese inoltrò la nuova circolare del Ministro Bottai alle scuole della provincia il 9 dicembre dello stesso anno. In questo caso si trattò di suggerire differenti modalità di fruizione e differenti finalità educative della rivista diretta da Telesio Interlandi in rapporto alla diversa età dei destinatari:

Nella scuola di primo grado, coi mezzi acconci alla mentalità dell’infanzia, si creerà il clima adatto alla formazione e una prima embrionale coscienza razzista, mentre nella scuola media il più elevato sviluppo mentale degli adolescenti, già a contatto con la tradizione umanistica, attraverso lo studio delle lingue classiche, della storia della letteratura, consentirà di fissare i capisaldi della dottrina razzista, i suoi fini e suoi limiti.

Tutte le biblioteche scolastiche dovevano pertanto abbonarsi alla rivista, che doveva «essere conosciuta, letta, divulgata e commentata da tutti i presidi, direttori, ispettori ed insegnanti della scuola media ed elementare, sia dei grandi che dei piccoli centri». E affinché questo invito non restasse lettera morta ma si traducesse in un concreto impegno, il Provveditore di Varese stabilì che tutti i dirigenti scolastici avrebbero dovuto fargli pervenire entro il 31 gennaio «un preciso rapporto» sui «primi risultati dell’attuazione delle direttive indicate in precedenza e dei provvedimenti adottati in merito».

All’8 agosto, invece, risale la circolare n. 12495 riguardante il divieto di iscrizione per gli alunni stranieri ebrei, già annunciata pubblicamente il 3 agosto. Il Regio Provveditore agli Studi di Varese, Armando Ferri, ne informò le scuole del territorio di sua competenza il 20 agosto successivo:

In conformità ad ordini superiori dispongo che, a decorrere dall’anno scolastico 1938-39, sia vietata l’iscrizione ai corsi di ogni ordine di scuole degli studenti stranieri ebrei, compresi quelli dimoranti in Italia. Tale disposizione concerne non soltanto coloro che chiedano l’ammissione ad un corso iniziale, ma anche coloro che, avendo frequentate negli anni precedenti le scuole italiane, intendano essere iscritti a corsi superiori.

Il 9 agosto Bottai informò i Provveditori agli Studi che agli ebrei non doveva essere conferito nessun incarico scolastico o supplenza.

All’inizio di settembre, intanto, giunse anche alle scuole di Varese, attraverso il Provveditore agli Studi, la richiesta di censire il personale di razza ebraica. Questa richiesta faceva seguito, evidentemente, alle disposizioni trasmesse da Buffarini-Guidi ai Prefetti il 17 agosto, che, stabilendo come requisito per ricoprire cariche pubbliche l’appartenenza alla «razza italiana», disponeva l’individuazione di tutti coloro che non fossero in tale condizione, per la loro tempestiva destituzione. In occasione dell’inizio del nuovo anno scolastico, la «Cronaca Prealpina», nelle pagine della cronaca cittadina, propose un’ampia intervista al Provveditore agli Studi. Gli fu chiesto tra l’altro se, nelle scuole della provincia, fosse stata rilevata la presenza di molti ebrei. «Cinque allievi e cinque insegnanti», fu la risposta di Ferri, su una popolazione scolastica che, per quell’anno, ammontava a 45mila studenti, 1.000 maestri e 350 professori.

La schedatura era stata condotta per mezzo di appositi strumenti di rilevazione. La circolare inviata alle scuole della provincia di Varese il 3 settembre avente per oggetto il Censimento del personale di razza ebraica fu corredata infatti da «un congruo numero di schede» e fornì dettagliate istruzioni per la loro compilazione. Innanzitutto, le schede, che sarebbero state compilate entro il 18 settembre, dovevano essere distribuite a chiunque avesse prestato servizio nelle scuole: «di ruolo e non di ruolo» e «a qualsiasi titolo». Unitamente alle schede, poi, sarebbero stati compilati distinti elenchi con l’indicazione delle persone di razza ebraica «per parte di padre e madre»; delle persone di razza ebraica «per parte di padre»; delle persone di razza ebraica «per parte di madre»; delle persone «il cui coniuge sia di razza ebraica». Nelle schede, inoltre, si chiedeva di indicare la religione professata e, qualora l’intervistato si fosse convertito, a quale data risalisse la conversione e se avesse interessato anche i suoi congiunti.

Tutto questo, come vedi, caro Direttore, avveniva prima del 5 settembre. E ancora prima di questa data, la macchina della propaganda aveva iniziato a preparare l’opinione pubblica all’avvio di una campagna persecutoria che sarebbe partita proprio dal mondo dell’istruzione e della cultura. Il 2 settembre, in prima pagina, la «Cronaca Prealpina» pubblicò un intervento non firmato dal titolo Giudei nell’Università. Se «la massima percentuale giudaica tollerabile», si legge, poteva essere, sul complesso della popolazione italiana, dell’uno per mille, in un settore strategico come quello della formazione universitaria anche questo rapporto rischiava di essere molto pericoloso. Il quotidiano di Varese portava ad esempio il caso dell’Ateneo milanese, dove, a suo dire, quattro componenti del Senato academico su sette avevano un «nome giudaico» e su settantasei professori di ruolo diciotto erano ebrei. La presenza ebraica diventava ancora maggiore tra le libere docenze. L’anonimo estensore dell’articolo auspicava, quindi, un tempestivo intervento del regime, tanto più urgente, poiché «perché dagli Atenei escono a centurie ogni anno i giovani destinati ai posti direttivi della vita nazionale. Ad essi occorre dare un’educazione decisamente fascista e ad assolvere questo compito non possono essere idonei coloro che, appartenendo ad altra razza (razza non religione), anche se siano in buona fede hanno nocive riserve mentali».

Giuseppe Bottai era nato a Roma nel 1895. Fu uno di quei fascisti, come si usava dire a quel tempo, «della prima ora»: era stato il responsabile della redazione romana del «Popolo d’Italia» ed aveva marciato sulla Capitale il 28 ottobre del 1922. Figura di primo piano del fascismo, ricoprì le massime cariche politiche ed istituzionali: fu, tra l’altro, Ministro delle Corporazioni nel 1929; Presidente dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dal 1932 al 1935; Governatore di Roma nel 1935; Governatore di Addis Abeba nel 1936. Le sue biografie lo ricordano anche come uomo di cultura, fondatore e direttore delle riviste «Critica fascista», dal 1923, e «Primato», dal 1940.

Non seguì, tuttavia, il fascismo sino alla sua deriva estrema. Fu infatti tra i firmatari di quell’ordine del giorno presentato da Dino Grandi al Gran consiglio del fascismo, che provocò la caduta di Mussolini il 25 luglio del 1943. Per questo il tribunale della Repubblica sociale italiana lo condannò a morte in contumacia nel 1944. Condanna, per sua fortuna, mai eseguita, poiché Bottai aveva pensato bene nel frattempo di far perdere le tracce arruolandosi nella Legione straniera. Morì a Roma il 9 gennaio 1959 e il Ministro repubblicano e democratico della risorta Pubblica istruzione, Aldo Moro, ritenne opportuno prender parte ai suoi funerali. In fondo Bottai aveva occupato la sua stessa poltrona per quasi un decennio, sino al 1943.

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