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Editoriale

CALCOLI

MASSIMO LODI - 14/09/2018

Palazzo Chigi

Palazzo Chigi

Salvini sta tirando molto la corda. Forse troppo. Non è campata in aria l’ipotesi che i Cinquestelle, stufi di subirne l’egemonia mediatica, possano voltargli le spalle facendo saltare il governo. Il loro elettorato è antileghista, e lo rimane nonostante accolga con favore talune idee, promesse e varie imperversate social del ministro degl’Interni. Però quand’egli mette una pietra sulla Costituzione delegittimando i magistrati (“Io sono stato eletto dagl’italiani, loro da nessuno”) tocca un nervo scopertissimo dei grillini. Di Maio può fare il pompiere fin che vuole, ma se il suo collega vicepremier procede su questa strada, verrà presto il giorno in cui -spinto dall’onda montante della protesta “vaffa” e incalzato dall’amico/rivale Di Battista- gli sarà impedito di seguirlo sull’accidentato percorso. Dunque, delle due l’una: spaccare ritornando al voto. O spaccare rifacendo un governo.

L’ipotesi uno non conviene al leader pentastellato: i sondaggi lo danno indietro rispetto a Salvini. L’ipotesi due è carezzata silenziosamente da una parte dell’M5S. E anche da una parte del Pd. I problemi sono però i seguenti: 1) Di Maio non potrebbe succedere a sé stesso. Se si cambia alleanza, si deve cambiare anche il capo che la contratta. Mica una robetta da nulla. 2) il Pd deve fare i conti con Renzi, da sempre contrario a una simile trattativa. L’ex irresistibile bomber, ufficialmente fuori dalla nomenklatura del partito, è assolutamente dentro il meccanismo decisionale: i gruppi parlamentari sono in mano sua. Dunque: o lo si convince all’operazione ribaltatrice o ciao. Anzi, ciaone.

Immaginare di disfarsi in un colpo di Renzi e Di Maio pare un’utopia, discutere (come si discute ampiamente) dell’argomento, è tuttavia indice che qualcosa forse, magari, chissà potrebbe succedere a proposito di nuove alleanze e nuovo governo. Se succedesse, non sarebbe un golpe, come già si racconta/demonizza sul versante di destra. Altrimenti bisognerebbe dire che un golpe è stato il patto tra Lega e Cinquestelle, stipulato dopo che i contraenti s’erano azzuffati per tutta la campagna elettorale. E che un golpe sarebbe l’eventuale scaricone di Di Maio da parte d’un Salvini d’improvviso determinato a far cadere lui l’esecutivo, con lo scopo d’impiantarne uno diverso assieme a Berlusconi, Meloni e qualche “responsabile”. Tali operazioni di carte mischiate rappresentano la normalità, e non l’eccezione, dei sistemi elettorali proporzionali. Chi le aborre, non dovrebbe favorire le condizioni per il loro instaurarsi, e invece avversarle. Ciò che rifiutarono Lega e Forza Italia (non i soli, purtroppo) quando si trattò d’approvare il sistema maggioritario che, abbinato alla riforma costituzionale abolitrice del Senato, avrebbe cambiato l’assetto istituzionale dell’Italia e il suo futuro.

Perciò è bene che nessuno si scandalizzi di fronte al realismo, per quanto possa apparire cinico. Esso obbedisce alle regole che la politica si dà in una fase storica. Sappiamo e vediamo quali sono nella contemporaneità. Lo sanno e lo vedono meglio di chiunque Salvini e Di Maio, che stanno giocando una partita preparandosi alla successiva, e non hanno ancora deciso con quali compagni scendere in campo e quali avversari affrontare. Dipenderà dalla convenienza, dall’opportunismo, dai calcoli personali. Sullo sfondo, molto sullo sfondo, gl’interessi degl’italiani.

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