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Politica

CENTO GIORNI

MANIGLIO BOTTI - 14/09/2018

100-giorniLe sigle – Tap, Tav… – ancora non aiutano molto a capire. Sono un dettaglio; anche se come tutti sanno nei dettagli si nasconde il diavolo. Non è dato capire, dunque, se dietro alla cancellazione di queste sigle dal panorama politico e infrastrutturale del Paese si potrebbe prevedere una crisi di governo. Difficile: perché più essa viene evocata, più per altri casi la magistratura interviene con avvisi di garanzia e quant’altro e più il governo si rafforza; e più una delle sue forze costituenti – la Lega –, guidata da un premier onnisciente, onnipresente mediatico cresce nei sondaggi e nel consenso dell’opinione pubblica. Sempreché in un’Italia magmatica, da punto elettorale, e dove leader e controleader si disfanno nello spazio di un mattino, i sondaggi rispecchino in tutto e per tutto un effettivo risultato elettorale.

Ma la situazione è questa. È il governo del cambiamento, bellezza! Per quanto il cambiamento ancora non si intraveda, se non nei proclami e nelle unilaterali autocitazioni.

Il “vero” partito del cambiamento, il Movimento Cinquestelle con i suoi homines novi insediatisi al governo, compreso il premier-avvocato Giuseppe Conte, è lo stesso partito del Vaffa-Day che adesso – si potrebbe dire così, parafrasando un’antichissima frase da prima Repubblica –, dopo avere indossato il doppiopetto grigio nei palazzi romani, sta (molto leggermente) perdendo quota, mentre ne acquista la Lega, una volta detta Lega Nord, che è poi il più “vecchio” partito, presente nel Parlamento, addirittura dalla fine degli anni Ottanta.

Il suo “capitano”, della Lega, Matteo Salvini, è giovane di studio ma non giovincello: passato (come il mitico Umberto) ancora imberbe attraverso frange dell’estrema sinistra, approdato alla Lega separatista negli anni in cui il partito avrebbe fatto un rogo dei Terroni e quando avrebbe adoperato il Tricolore in un uso da gabinetto (che non è quello del ministero dell’Interno cui Matteo è approdato in tempi recenti).

Oggi, al Matteo II, capita di proclamare una reinstaurazione in Italia della leva militare, e di indossare impunemente la maglietta degli alpini. È noto – o dovrebbe esserlo – che il Matteo, che è di Milano, il servizio militare (forse giustamente perché il giovanissimo era già consigliere comunale della Lega), il servizio militare l’ha svolto proprio a Milano. Dormiva (giustamente) spesso a casa, mangiava a casa. Passava in caserma il necessario. Campagne di tiro ne faceva poche, a parte altre “sparate”.

Dell’invisa Europa, seduto (quando c’era) nel Parlamento della stessa Europa, il nostro ministro dell’interno e vicepremier ha fatto parte per un paio di legislature. Senza in verità lasciare tracce significative del suo passaggio, anzi.

Ora – cambiamento o no – ci si è trovati anche dinanzi a una questione molto complessa, quella riguardante il ripristino a tempo pieno della produzione di acciaio della Ilva di Taranto, ceduta – stando a un accordo siglato dal governo passato ma da avallare – al “gigante” mondiale dell’acciaio ArcelorMittal. Per mesi si è andati avanti secondo un cliché abbastanza noto: cioè il governo del cambiamento, in antitesi a un governo accusato di ambiguità e di errori nell’affrontare il problema, avrebbe rivoltato la questione come un calzino. Non era così, evidentemente, se il neo-ministro dello sviluppo Luigi di Maio infine ha supportato (e migliorato) l’operato del precedente Carlo Calenda, cosa che gli è stata anche pubblicamente riconosciuta.

Questo dovrebbe essere lo stile di ogni governo che si succede a un altro. La credibilità non è un optional da reinventare.

E veniamo alle sigle enunciate: Tap e Tav (cioè Trans-Adriatic Pipeline, il gasdotto che dovrebbe entrare in Italia e in Europa, attraverso la Puglia, e Treno ad Alta Velocità, la realizzazione della linea di collegamento ferroviario dalla Francia al continente europeo, passando per l’Italia e la Val di Susa…). Non entriamo nel merito delle considerazioni di carattere tecnico. Sono stati scritti dei libri. Ci riferiamo a una sorta di manifestazioni di tipo luddistico, specie da parte di popolazioni locali e territoriali toccate dal passaggio delle nuove linee, che hanno contrastato anche duramente opere già decise dai governi nazionali.

Una delle due forze oggi alla guida del Paese – il Movimento Cinque Stelle – ha cavalcato in campagna elettorale (come in realtà fu per la ripresa dell’Ilva di Taranto) le polemiche localistiche, presentandosi come movimento politico di difesa, e conquistando voti. È chiaro che la posizione attuale di governo, nonostante la volontà di continuare la campagna elettorale, cambi molto concretamente le carte in tavola. E così come c’è stato un agire molto contestato a Taranto nei riguardi degli ambientalisti, c’è ora il rischio di lasciare a bocca asciutta i cittadini contrari a Tap e a Tav della Puglia e della Val di Susa, rivelandosi uguali agli altri, e i voti (nei sondaggi) si assottigliano…

Premesso come sia difficile enucleare e valutare in modo obiettivo tutti i “fatti” di governo registratisi – che si prestano sempre alla disamina del “visto da destra e visto da sinistra” – è improbo dare a priori, per esempio, una visione del famoso Decreto Dignità, che già nel nome rivela la sua particolarità mediatica, più che sostanziale. Mentre altro non sarebbe che un intervento nel mondo del lavoro a (parziale) correzione del famoso Jobs Act (altro nome di battesimo mediatico e da Facebook) del governo Renzi. Intervento molto criticato – questo di una presunta Dignità – da parte del mondo imprenditoriale del Nord e anche dall’Inps.

Ma si considerino, in questi primi mesi di governo gialloverde, i cosiddetti “cento giorni”, fatti devastanti e tragici che purtroppo non sono rari nel nostro Paese, come il crollo del ponte Morandi di Genova, le vittime, le conseguenze drammatiche per le famiglie che abitavano le case poste a ridosso del viadotto. O eventi, forse attuati allo scopo di “risvegliare l’Europa”, come quello della nave militare italiana Diciotti con il suo carico di umanità disperata, di migranti eritrei a bordo, fatta gironzolare per giorni nel Mediterraneo dal ministro dell’Interno e vicepremier (evento criticato anche dall’Onu, organizzazione dalla quale – ha detto – non accetta lezioni, soprattutto in tema di sicurezza e di razzismo), prima di un approdo sicuro in territorio nazionale.

Com’è quasi sfortunata prassi, vicende del genere invece di produrre dappertutto sentimenti di unanime solidarietà e di ripresa, di cartine di tornasole in un popolo forte e generoso, da noi vengono – dagli uni e dagli altri avvicendatisi al potere – usati strumentalmente e politicamente, producendo una reazione di pessimistico squallore.

Ma un momento, perché adesso viene il bello. Il governo dell’evanescente avvocato Conte si appresta, nell’autunno ormai imminente, a varare i documenti economici e finanziari. Carta canta. A dispetto di quanto accaduto finora, che è già molto e significativo, i politici attuali saranno costretti a tirare giù la maschera dai loro volti dopo le promesse elettorali: reddito di cittadinanza, flat tax, abolizione della legge sulle pensioni. E così via, come da contratto.

La curiosità di vedere come andrà a… finire è grande. E anche la preoccupazione. Non diciamo ancora la paura.

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