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Opinioni

CRISI E RIMEDI

LIVIO GHIRINGHELLI - 14/09/2018

fioreLa politica che oggi si affaccia a un occhio disincantato non incoraggia certo all’ottimismo. Si è fatta un immenso spettacolo animato da star mediatiche, contrassegnata da una personalizzazione di leader sul vento dell’improvvisazione e degli slogan, più che intesi a riflettere su progetti non di giornata, ma a lunga scadenza, compatibili colla disponibilità, certo non incoraggiante, delle risorse.

Di fronte alla complessità dei problemi si persegue un riduzionismo, una semplificazione, che mortifica l’intelligenza. Da ogni lato si acclama, come a un fenomeno felicemente epocale, all’estinguersi delle ideologie, che hanno qualificato nel Novecento programmi ispirati a sensibilità sociale, istanze solidali di giustizia, una concezione non meccanicistica del progresso. Non si medita, ci si scontra in opposizioni bipolari fini a se stesse e congrue allo sviluppo di carriere in senso individualistico. L’interesse personale domina su tutto. Efficacia ed efficienza si predicano in astratto, a prescindere dai limiti del reale e soprattutto dalla logica pressante dei valori.

Preoccupa, segno di involuzione democratica, l‘insofferenza per ogni forma di dissenso; i corpi intermedi e l’associazionismo sono volutamente sottostimati, ne è mortificato il senso di partecipazione costruttiva. A favorire questa fase involutiva sta il contributo di un sistema mediatico e comunicativo, in cui, a prescindere da ogni verifica di attendibilità e di credibilità, ci si perde nel mare acritico dei canali informativi, dei messaggi contraddittori.

Il confronto, la possibilità di dialogo vengono meno di fronte allo scontro verbale, alla sovrapposizione anche urlata delle voci in un clima, che sfugge a ogni controllo. Non raro è il caso di intrattenitori già schierati opportunisticamente con le coalizioni di successo. Così chi detiene il potere si sente autorizzato nel pubblico clamore a forme esibite di autoreferenzialità. E gli elettori, non educati alla pazienza della politica, si arrendono alle formule facili, senza tema di smentite che indubbiamente verranno.

Il giovanilismo della rottamazione, rompendo gli argini, ha svilito la competenza nel nome di un nuovo non soggetto ad alcuna decantazione ed elaborazione. Soprattutto ci si allontana dal dettato e dallo spirito della Costituzione, che è la norma fondamentale del vivere civile. Ci si scorda che la dignità è di tutti e di ciascuno, oltre ogni egoismo di classe sociale e il rifiuto di riconoscere minoranze e differenze. La lotta alle disparità di genere ha ancora ben poco campo. Il fenomeno migratorio è affrontato solo in chiave di chiusura e di paura, non di opportunità.

Nel programma di governo, nel contratto, c’è più una spartizione di sfere di influenza, che non un progetto comune. E preoccupa nello scollamento reale tra classe al potere e cittadini l’instaurarsi via via di forme di democrazia diretta, non certo di tipo cosiddetto liberale.

Che fare? Insistere con le recriminazioni, con forme sterili di opposizione tribunizia o facili rimpianti di un passato indubbiamente compromesso da pochezza di presenza e di sensibilità all’urgere della crisi? Assistere sulle rive del fiume della storia alla possibilità di comode congiunture in un clima senza dubbio tempestoso? Sperare che senza incisive verifiche degli errori indubbiamente commessi si possa, senza interventi già a partire dal territorio e con forme ben diverse di sensibilità, guarire il forte iato aperto coll’opinione pubblica?

Bisogna invece costruire una diga di fronte allo svilimento dei valori e alla demagogia prorompente. Preliminare allora è l’azione da sviluppare innanzitutto sul piano culturale per riconvertire la rotta, in un contesto diverso, verso una socialità che privilegi i temi della dignità del lavoro, della primazia della persona, della tutela nei fatti della famiglia.

Sono i principi, non il tornaconto, a costituire la cornice di riferimento dell’azione politica. Nessuna nostalgia, nessun rimpianto o cedimento alla tentazione di rimanere alla finestra, bensì l’impegno diretto per la rinascita, che è ancora di tanti, specie nell’ambito del volontariato.

Le pratiche di solidarietà non debbono solo appagare le coscienze degli attori di cambiamento, ma risultare decisive in termini di progettualità politica, trascendere certe forme demagogiche e privatistiche dell’assistenzialismo, per divenire forme di mobilitazione di una società civile dinamica.

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