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Politica

INGIUSTIZIA SOCIALE

EDOARDO ZIN - 05/10/2018

donsturzo“Non si deve ripagare ingiustizia con ingiustizia né fare del male agli altri, neanche chi abbia subito un male, e dico ogni genere di male. Ora ti prego di stare bene attento, se pensi di essere stato finora completamente d’accordo con tutto quello che ho detto. Stai attento a non andare contro il tuo stesso modo di pensare. Perché io so bene che questi principi vanno bene e sembreranno giusti solo a un limitato numero di persone. Ora tra quelli che condividono questa opinione e quelli che la avversano non è possibile mettere accordo. Anzi le due parti non potranno fare a meno che disprezzarsi a vicenda perché ottengono il contrario l’una dell’altra”. Così Socrate risponde a Critone nei “Dialoghi” di Platone.

Chiedo scusa ai lettori per la lunga citazione. Vorrei fare mio questo richiamo di fronte a tante fumose retoriche dette o scritte negli ultimi giorni, a tanta arroganza ostentata che è ben più pericolosa dell’illusione della conoscenza. Vorrei aspirare a udire discorsi seri, argomentati, sostanziosi per cogliere le variegate sfumature di una realtà che viene continuamente saccheggiata dalla smemoratezza, dall’infedeltà alla parola data fino ad assumere le tipiche caratteristiche dell’odio. Vorrei vedere una politica nuova. Mi devo accontentare di guardarla con occhi nuovi e meno disincantati. Voglio cercare la verità di fronte al dilagare della menzogna. Vorrei non essere saccente, tedioso e inopportuno. Vorrei impossessarmi della verità cercandola nel confronto, nel dialogo, ma mi è impossibile perché oggi prevarica una volontà dispotica che sfregia ogni ragione e ogni logica. È la caratteristica dei prepotenti che fino a poco tempo fa lanciavano la stessa accusa ai loro avversari.

Era ben più agevole promettere che c’erano le coperture per finanziare il reddito di cittadinanza, la flax tax, riformare la legge Fornero, ora è molto più faticoso cercare le risorse per garantire queste promesse, ragionare con gli esperti, vagliare il pro e il contro, negare i conti anche di fronte alle cifre. Quando i dèspoti abitavano la “regione delle promesse”, ove bastava una battuta per strappare l’applauso, facevano intendere che tutto era possibile e subito. Ora che vivono nel “territorio del buon senso” devono fare i conti con la realtà e chiedere prestiti onerosi per poter onorare ciò che sapevano benissimo di non poter mantenere. Quando cerco la verità e la trovo non solo l’amo, ma soprattutto la difendo. Ecco perché parlo anche se so che la moda imperante e il luogo comune sbeffeggiano chi si fatica a ragionare.

Incominciamo col dire ai ministri pentastellati, che esultavano sul balcone di palazzo Chigi per aver ottenuto dal Consiglio lo sforamento del rapporto tra deficit e PIL al 2,4%, che il loro giubilo mi ricorda quello dei passeggeri del Titanic che continuavano a danzare mentre la nave andava a picco. E diciamo alla loro truppa, che è accorsa ad applaudirli in piazza Colonna – una piazza poco lontana da quella più famosa di piazza Venezia, dove si stipavano folle inneggianti al prepotente di turno – che il def approvato dal Consiglio dei Ministri è solo una “cornice” che contiene la strategia economica e di finanza del governo per il prossimo triennio, ma che esso non “decreta” le promesse, fonte di tanto giubilo. Queste devono diventare testo di legge, dove si conoscerà la strategia economica e di finanza del governo, le previsioni e gli obiettivi, l’evoluzione tendenziale dell’economia; dovranno passare al vaglio di costituzionalità (ricordo che l’articolo 81 della Costituzione prevede il pareggio di bilancio!), della Commissione Europea, che è il “guardiano” dei Trattati e che ci chiederà, tra l’altro, lo stato di avanzamento delle riforme avviate, infine del Parlamento. Ecco perché l’esultanza dal balcone è senza ragione, come era senza ragione quella folla osannante al nuovo Masaniello, vuota di memoria, vuota di vera giustizia.

Hanno dimenticato la promessa fatta in campagna elettorale che le spese sarebbero state onorate tagliando quelle inutili e nel rispetto delle norme e dei vincoli europei. E hanno sforato il rapporto tra deficit e PIL. Hanno dimenticato che non avrebbero mai permesso un condono fiscale per premiare i cittadini onesti. E hanno inventato la “pace fiscale”, dietro cui si nasconde un vero e proprio raggiro. La smemoratezza sottilmente voluta avvizzirà le coscienze dei cittadini che saranno tenute in vita con terapie d’urto fatte di banalità sui social, di chiacchiere, di vacuità.

L’hanno chiamata “manovra storica”, ma di questa storia si ricorderanno solo i giovani d’oggi che saranno costretti a pagare i debiti lasciati da questi pericolosi faccendieri. L’hanno chiamata “manovra per il popolo” e “contro i mercati”, ma saranno proprio quest’ultimi a guadagnare dagli interessi del debito pagati dal popolo! “È la manovra del popolo!” hanno dichiarato: è vero perché saranno i lavoratori, gli impiegati, i pensionati che la pagheranno. Lo stato dovrà attingere alle loro tasse, magari aumentandole, per pagare il debito pubblico con relativi interessi o diminuendo i servizi e le giovani coppie, che hanno acceso un mutuo per l’acquisto della casa, pagheranno tassi d’interesse più alti. È davvero riprovevole questa politica che per contraccambiare un voto ricorre ai debiti!

E la giustizia dov’è? Sì, nel nostro Paese c’è tanta povertà, troppa! “Abbiamo abolito la povertà” ha gridato Di Maio. Magari fosse vero! La povertà non si abolisce per decreto, ma con la giustizia che è fatta per metà di smeriglio e dall’altra di ovatta. Per risollevare gli sventurati e i disperati non si deve esaudire i loro desideri, ma dare a loro ciò di cui hanno bisogno: pane, lavoro, istruzione. “Rifiutare di condividere il pane con chi bussa alla mia porta è da crudele, guadagnarlo con un lavoro è un dovere, ma mangiarlo nell’ozio è da parassiti” ricorda un vecchio adagio. Giustizia esige che per dare il necessario ai poveri è doveroso distribuire il superfluo dei ricchi. Se il reddito di cittadinanza fosse distribuito indistintamente a tutti i bisognosi, così come è stato loro promesso in campagna elettorale, velando sottilmente che per ottenerlo occorre sporcarsi le mani, sarebbe ingiusto verso chi lavora onestamente e magari non riesce ad arrivare alla fine del mese. Il reddito di cittadinanza non crea lavoro, al più consumo, e sono spietati coloro che vogliono far credere il contrario.

Giustizia esige che le risorse siano distribuite con fermezza, unita alla consapevolezza che la felicità di tutti non si fa facendoli correre prima d’insegnare a loro a camminare: ecco perché l’istruzione, l’educazione, la cultura è il modo più concreto per combattere l’ignoranza, che è la prima povertà. Tutti hanno bisogno della lana per coprirsi d’inverno quando fa freddo: per questo si deve tosare il gregge con cautela, non scorticarlo, altrimenti non avremo più lana per tutti.

È così che nasce l’invidia che non è solo volere ciò che l’altro possiede, ma istigare l’odio per quello che l’altra persona rivela di avere.

Se non accetteremo la verità, che gli “incantatori” stravolgono continuamente, aumenterà l’odio. Usare la ragione critica è ben più arduo e dà migliori risultati. Luigi Sturzo ha lasciato scritto: “Più crescono debito pubblico e corruzione, maggiore è l’ingiustizia sociale.”

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