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Parole

L’IDENTITÀ

MARGHERITA GIROMINI - 05/10/2018

identitaLa parola identità, per me come per altri che mi auguro numerosi, negli ultimi anni ha assunto una connotazione negativa. Mi riesce difficile usarla senza sentirmi in obbligo di specificare che non sono né nazionalista né razzista.

Nel 2010 lo storico inglese Tony Judt scriveva che ‘identità’ è una parola pericolosa e non ha alcun uso contemporaneo che sia rispettabile.

Colpa degli slogan “prima gli italiani”, “dove metterete quei 100 che vi siete accollati?”, “difendiamo le nostre radici cristiane”? E ancora: “i migranti sono un costo”, “portano via il lavoro agli italiani”, “delinquono più degli italiani”, ‘”aiutarli toglie risorse ai nostri poveri’, ‘distruggono la nostra cultura”, “minacciano la nostra identità nazionale’.

Sento l’imperioso bisogno di ricordare che stiamo parlando di uomini e donne, di persone, di cittadini accomunati da una sola identità: quella umana, che è la fonte dei diritti fondamentali di ogni individuo.

Purtroppo viviamo nella brutta stagione dei discorsi politici avvelenati dalla retorica identitaria che ci ha martellato nella testa, e ahimè nel cuore, l’assioma ‘noi’ e ‘loro’. Su questo si basano le dottrine del respingimento: l’opposizione tra ‘noi’ e ‘loro’.

Ma la paura identitaria non trova conferma nei numeri ufficiali. Né in quelli attuali né in quelli che derivanti dalle proiezioni che mostrano come l’Africa non voglia trasferirsi in Occidente, tantomeno in Italia. Infatti l’87% delle migrazioni è interno al continente africano e meno del 10% dei rifugiati provenienti dal Medio Oriente è arrivato in Europa.

La paura diventa terrore quando qualcuno la intercetta e la rinforza per poi diffonderla via tweet, con il cinguettio “L’immigrazione è invasione, è pulizia etnica al contrario”.

Non riesco a restare indifferente di fronte alla svolta involutiva dell’Europa voluta dai nostri padri come risposta di pace al termine di una guerra sanguinosa e devastante.

Mi chiedo se gli europei che oggi negano ospitalità al potenziale ‘nemico’, che è poi colui che fugge da guerre, persecuzioni, soprusi e fame, avranno l’ardire di reclamare il proprio contribuito a costruire un’Europa patria dei diritti umani.

Che cosa si scriverà sui libri di storia del futuro, sempre che a dominare fra pochi decenni non siano i diffusori di paura, costruttori di paradigmi culturali così pericolosi da richiamare i fantasmi dei nazionalismi dei passati anni Trenta.

“Identità” significa – etimologicamente – uguaglianza assoluta, corrispondenza esatta e perfetta. Esiste una ‘identità italiana’ da salvaguardare? Sarebbe più corretto affermare che le identità nazionali vengono definite a posteriori, quando non sono costruite a tavolino.

Tra i popoli europei il nostro risulta essere il più meticcio in quanto risultato di infinite fusioni di cui abbiamo traccia sia nella lingua sia nei diversi aspetti della cultura.

Chiudo con una piccola antologia di riflessioni sul tema dell’identità.

Lo storico e saggista Piero Bevilacqua: “Giova ricordare che l’identità della cultura italiana fa tutt’uno con la sua multiforme varietà e in un certo senso con la sua stessa mancanza di una identità unitaria”.

Don Lorenzo Milani: “Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che … io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi e privilegiati e oppressori. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”.

Lo scrittore Primo Levi: “A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno inconsapevolmente, che ogni straniero è nemico. Questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e scoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al temine della catena, sta il Lager. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo”.

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