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Opinioni

DECLINARE GLI ALGORITMI

ANTONIO MARTINA - 05/10/2018

algoritmoViviamo un cambiamento a cui siamo costretti da un susseguirsi di eventi veloci per poter migliorare e progredire. Siamo coinvolti in una competizione globale in cui chi rallenta non sarà più in grado di recuperare posizioni. Correre e ancora correre.

Ma per correre servono i giovani e con loro un definitivo ricambio generazionale. Ricambio che si è già verificato, in buona parte, nella classe dirigente politica. Da questa nuova classe ci aspettiamo politiche per la crescita, tese a mantenere “al centro” la persona. A maggior ragione se si tratta del lavoro. Invece il cambiamento in atto riguarda, prevalentemente, l’alta tecnologia, l’alta finanza, le élite, tutte le persone in grado di anticipare e creare nuove realtà. Gli altri sono costretti a seguire, sperando di non perdere contatto.

Nel sociale, ad esempio, si parla sempre più di sottoproletariato, addirittura di nuovo feudalesimo. Detto questo vorrei pensassimo: alle diverse circostanze, ai provvedimenti, alle lavorazioni che ci coinvolgono quotidianamente e considerassimo un elemento costante che li accomuna e li determina nei vari processi operativi: l’algoritmo.

Lo sottolineo perché spesso non ce ne accorgiamo, anzi lo sottovalutiamo, invece tutto ruota intorno al suo utilizzo. Si tratta di un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari. Il termine deriva dalla trascrizione latina del nome del matematico persiano Al-Khwarizmi, che è considerato uno dei primi autori ad aver fatto riferimento a questo concetto. È un elemento fondamentale dell’informatica perché è alla base della nozione teorica di calcolabilità.

Gli algoritmi diventano più sofisticati e tali da risolvere problemi sempre più complessi. Arrivano così a sfidare l’intelligenza umana nella capacità di trovare soluzioni pur continuando a funzionare all’interno di una precisa ghiera di operazioni. Giusto per esemplificare: l’algoritmo delle slot machine, segretissimo, funziona alla perfezione per chi l’ha creato, è abile nel dare l’illusione di aleatorietà, alterna fortune e sfortune, prevede perdite con percentuali precise.

Questa visione meccanicistica continuerà a esserci. Matematici come Alan Turing (quello della decodifica del codice tedesco Enigma nella seconda guerra mondiale), erano convinti che la macchina potesse simulare la mente umana. Altri no, perché la persona è dotata di una creatività e di una fantasia non riproducibili.

I dirigenti di Twitter che avevano detto: “Gli algoritmi basati sulle macchine non sono l’unico modo di far emergere i migliori contenuti e offrirli in modo attraente agli utenti”, hanno subito parlato di expert human curation, ossia: torniamo a fare quello che abbiamo sempre fatto dalla comparsa dell’homo sapiens sulla terra.

Così quelli di Apple assumono giornalisti per riconoscere storie originali e intriganti che potrebbero sfuggire agli algoritmi. Sembra di essere tornati alle intuizioni del Rinascimento italiano. Anche il Financial Times ha riportato un’altra notizia che non ci saremmo aspettati: “Instagram backs the human touch”. Un inno al contatto umano. L’algoritmo fa un passo indietro. L’uomo uno avanti. I tecnocrati si accorgono di avere dimenticato di dirci: vi avevamo gridato che gli algoritmi sono migliori della mente. Scusate, ci siamo sbagliati.

Peccato che negli ultimi anni, tante persone siano state licenziate, tanti studenti abbiano fatto precise scelte di percorsi accademici, tanti uomini e donne definiti “obsoleti”. Stavamo diventando delle Repubbliche fondate sugli algoritmi, cambiando anche le costituzioni. La sofisticatissima macchina degli algoritmi ha bisogno di cervelli ed esperienza umana per migliorare il risultato.

Il paradigma è: uomo più macchina e non macchina meno uomo, né uomo meno macchina.

A confermarlo è anche Markus Schaefer, numero uno della produzione Mercedes, il quale ha dichiarato: “i robot non possono fronteggiare il grado di personalizzazione e le tante varianti che abbiamo oggi. Assumendo più persone risparmiamo e mettiamo al sicuro il nostro futuro”. Dove non arrivano i robot ci sarà sempre posto per la persona. Conferma che la situazione ottimale sia quella della collaborazione uomo più macchina, con robot piccoli e flessibili, perché modificare una linea di produzione affidandosi a meccanici esperti è molto più rapido che riprogrammare i robot per far compiere loro nuove azioni o assimilare schemi differenti: un paio di giorni nel primo caso, intere settimane e tempi morti nel secondo.

Anche Bmw e Audi stanno progettando robot leggeri da affiancare ai dipendenti; l’obiettivo comune è muoversi in fretta per seguire l’accelerazione dell’industria. Le auto si stanno trasformando in una specie di smartphone, i tempi di aggiornamento si accorciano e i robot non bastano.

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