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Opinioni

DIRITTI E GIORNALI

SERGIO REDAELLI - 12/10/2018

forbici “Bello il mio guaglione napoletano!”. La rivista Forbes mette in copertina il volto sorridente del vicepremier italiano Luigi di Maio e il suo mentore Beppe Grillo va in brodo di giuggiole. Volto sorridente, poi, non si sa per cosa. Lo spread viaggia alla velocità del suono aumentando il costo del debito pubblico. L’esecutivo pensa al solito maxi-condono o rottamazione delle cartelle di Equitalia o pace fiscale che dir si voglia, degno dei soliti governi, che premia i furbi evasori delle tasse e mortifica i cittadini onesti. Studia un documento di economia e finanza che preoccupa un italiano su due circa il destino dei propri risparmi.

E a due mesi dal crollo del ponte Morandi non ha ancora varato un piano per ricostruirlo. Tanto che gli sfollati della Valpolcevera vogliono andare a protestare sotto la bella villa di Beppe Grillo, forse riconoscendolo il vero capo politico di palazzo Chigi.

Dunque Di Maio ha annunciato a Forbes i suoi progetti per l’editoria: un fondo per le start-up modello Macron, Internet per tutti, norme sul Wi-Fi meno restrittive, sviluppo 5G della telefonia mobile cellulare e banda ultralarga. Anche idee innovative, per carità, il settore ha bisogno di contributi intelligenti e al passo coi tempi.

Ma il lupo dimostra di non perdere il vizio quando minaccia di tagliare i finanziamenti pubblici ai giornali colpevoli di non essere allineati; quando annuncia di voler cambiare la Rai mettendoci un direttore gradito (e dov’è la novità? Quale sarebbe il gesto di discontinuità rispetto al passato?); quando accusa i giornali di perdere lettori perché pubblicano notizie false e questa si che è una notizia falsa. I giornali perdono lettori per la rivoluzione copernicana introdotta dalla nascita della Rete. Il calo di vendite e di inserzioni pubblicitarie è dovuto alla facilità di chi legge di piluccare qui e là i contenuti gratis su Internet senza più andare in edicola a comprare il quotidiano come accadeva una volta.

Stampa nemica del popolo e asservita a oscuri interessi delle élite, tuona il vicepremier. La verità è che i tempi cambiano e i giornali pagano un alto prezzo allo sviluppo tecnologico e non sono ancora riusciti a organizzare un’efficace controffensiva. Hanno bisogno di aiuto e di buone leggi, non di bavagli e di provvedimenti punitivi come tenta di fare il Palazzo approfittando dei clamori della piazza. Non è questione di scarsa qualità ma di concorrenza sleale. Internet è un far-west senza regole e il giovane Di Maio si lascia sopraffare dal suo irruento giacobinismo scambiando per tentativo di censura (proprio lui parla!) il sacrosanto diritto degli autori di vedere riconosciuto il proprio lavoro.

Egli condanna la direttiva approvata a Strasburgo che impone ai big di Internet di pagare il copyright. La considera un attentato alla democrazia. Guai anche solo a pensare di regolamentare il web a cui deve la carriera. Grida alla censura preventiva. Facebook nel 2017 ha messo a bilancio utili per 17 miliardi di dollari e Google per 12,6 senza pagare un centesimo a chi ha prodotto i contenuti (autori, scrittori, giornalisti, musicisti eccetera). Colossali interessi su cui Di Maio glissa. Per gli utenti non cambia nulla, continueranno a usare la Rete. Sono esentate le piattaforme open source, le enciclopedie non a fini di lucro (Wikipedia) e le startup. Ma i colossi del web non potranno più fare i furbi come qualcuno vorrebbe.

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