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Politica

PIETRE AL COLLE

SERGIO REDAELLI - 26/10/2018

grillo-mattarellaAltro che Grillo sconfessato dai grillini! Il capo parla, scandisce le parole d’ordine e i seguaci ubbidiscono, subito o appena possibile, intanto prendono nota. È un gioco delle parti abilmente interpretato. L’ultima in ordine di tempo è la requisitoria contro il presidente della Repubblica lanciata dal capopopolo genovese alle truppe schierate al Circo Massimo a Roma: “Il Colle ha troppi poteri e dovremmo toglierli – tuona dalla tribuna – Il presidente della Repubblica presiede il consiglio superiore della magistratura, è a capo delle forze armate e nomina cinque senatori a vita. Non è più in sintonia col nostro modo di pensare”. 

Parole che costringono il M5S a prendere formalmente le distanze (“la riforma dei poteri del capo dello Stato non è nel contratto di governo”), a ribadire fiducia in Mattarella e a precisare che “Beppe non ha ruoli”. Ma non è la prima volta che il finto-comico genovese se la prende con la più alta carica dello Stato, anzi per lui è un chiodo fisso. Nel 2013 attaccò l’allora presidente Giorgio Napolitano, rieletto in un periodo politico burrascoso benché egli si schermisse per ragioni anagrafiche e di merito. Lo accusò di trascinare l’Italia nel baratro (“se avesse un minimo di dignità dovrebbe dimettersi e andare a dar da mangiare ai piccioni al Pincio”).

Chiacchiere in libertà? Battute tanto per ridere? Non si direbbe. Grillo arrivò a chiedere la messa in stato di accusa di Napolitano, (“basta con i politici da ospizio, il presidente devono eleggerlo direttamente gli italiani”) e il tema salta fuori ad ogni piè sospinto con la solita tattica del Grillo. Poche settimane fa fu il “portavoce” Di Maio a chiedere l’impeachment per Sergio Mattarella. Accadde, lo ricorderete, quando le consultazioni per formare l’attuale governo rischiavano di naufragare sul nome di Paolo Savona ministro dell’economia. Di Maio puntò il dito contro il Quirinale: “Non vogliono il M5s al governo, chiediamo che il parlamento utilizzi l’articolo 90 della Costituzione per mettere in stato di accusa il presidente della Repubblica”.

Come sappiamo il presidente e la democrazia italiana non solo hanno consentito al M5S di andare al governo ma a Di Maio di ricevere l’onore dei saluti militari come vicepremier e ministro. L’esuberante esponente grillino si sbagliava, niente di male. Ma la storia si ripete, talvolta s’inverte. “Siamo stanchi di veder nominare amici e parenti dei politici nella pubblica amministrazione”, tuonava Grillo nel 2014 quando il suo gruppo bocciava alla Camera Matteo Renzi che aveva chiamato a palazzo Chigi “perfino il capo dei vigili di Firenze”. Indicava come soluzione i concorsi pubblici. A distanza di quattro anni, a leggere i giornali che il M5S comprensibilmente vorrebbe ammutolire, l’assalto al potere sembra avere le stesse caratteristiche. E sistema nei ministeri amici, riciclati e fedelissimi.

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