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Cultura

CONCRETA MELANCONIA

LUISA NEGRI - 30/11/2018

Giovanni Beluffi è artista lombardo di radici bresciane, presente in territorio varesino dal ‘69, allorché fece di Castelseprio la sua piccola patria, il luogo in cui da sempre gli è gradito vivere e lavorare. Avevamo raccontato qui le sue opere e la sua ricerca in occasione di una ricca e bella antologica del 2013 a Villa Pomini di Castellanza, “Una storia naturale”, dove era stato possibile ripercorrerne il cammino a partire dagli inizi- la prima mostra fu nel 1973.

Prediletto da due maestri come Spaventa Filippi e Silvio Zanella, il secondo ne aveva elogiato “il colore teso e preciso espresso in paste dense e corpose che contengono la sostanza della natura avvolta in atmosfere luminose: un colore da pittore”.

Se i due artisti fossero ancora tra noi potrebbero ritrovarci quello stesso colore, la sostanza della natura e le atmosfere luminose e avvolgenti, il tutto espresso però ora in toni più delicati e tratti più liberi e sfumati: avendo acquistato la mente e la mano dell’artista, nel passare del tempo, quella grazia di maggior levità che si accompagna al trascorrere degli anni.

A dimostrarlo è anche la recente rassegna “Paesaggi Varesini” alla Sala Veratti, una quarantina di belle opere tra pitture e disegni incentrati sui luoghi amati della nostra terra, raccontati con leggerezza e poesia.

Per Beluffi è questa una tappa desiderata, non solo in quanto riconoscimento della lunga attività di artista fedele al territorio, ma soprattutto perché si pone a colloquio proprio con una città nella quale l’attenzione alla natura, che le fa da felice cornice, non è mai venuta meno. Anzi sempre più chiede di farsi leit motiv dell’impegno della sua gente e della locale Amministrazione, tesa a valorizzare un patrimonio di natura e bellezza – ne fa fede il replicato evento di “Nature Urbane”- da mostrare e divulgare con crescente orgoglio.

Beluffi, innamorato artista del paesaggio lombardo, cantore di una melanconia narrativa che guarda all’incanto dei nostri siti, come dimostra la freschezza coloristica delle opere in mostra, ha i titoli per poterci parlare delle nostre campagne, delle nostre acque e dei nostri monti, delle trasparenze luminose di paesaggi lacustri e boschivi dove la luce sfuma tra i rami, o scivola, più accesa, su dorate campiture di cielo.

Ha per esempio tutte le capacità descrittive e liriche per guidarci, attraverso i suoi quadri, verso la montagna varesina, invitandoci idealmente, schivando dirupi e ostacoli come capitava ai primi mistici di Santa Maria del Monte, a inoltrarci lungo il sacro cammino del Rosario. O a guardare dall’alto quel panorama che corre dai pendii varesini allo skyline dei grattacieli della nuova Mediolanum e parla di un antico ma sempre futuro luogo di operosità, di speranza, di incontro tra genti diverse.

Con la stessa, suadente, abilità pittorica Beluffi può accompagnarci lungo le acque dove la benedetta alacrità dei nostri avi macinava i grani per il pane quotidiano, conciava le pelli, o creava tessuti apprezzati nel mondo. Il letto dell’Olona ha vissuto e raccontato storie che ancora si leggono negli edifici ormai dismessi, addormentati in quelle atmosfere silenti e luminose così ben descritte dall’artista. Dove lui ama perdersi di persona, passo dopo passo, ombra dopo ombra, per camminare e intravedere, tra sprazzi di storie, il filo conduttore di un unico cammino di arte e di vita.

Alle qualità artistiche e umane di Beluffi si deve aggiungere che si è sempre apertamente raffrontato, con gli altri e con sé stesso, senza negare i meriti o nascondere le disillusioni.

Conviene però dire che la scelta di inseguire la natura, quella in cui è nato e dalla quale non si è mai staccato, come un figlio dalla propria madre, è stata la scelta giusta, la scelta vera: lo sa bene Fabrizio Rovesti, artista a sua volta e critico intelligente dei lavori di Beluffi, che ne ha saputo da tempo cogliere la raffinatezza, la leggerezza, “lo smagrimento del colore” e quel sentimento sotteso di orgoglio e affetto d’artista per la propria terra che solo i migliori figli sanno descrivere e raccontare.

Se dobbiamo fare un auspicio è che la meritevole rassegna sia propedeutica, visto la ricchezza presente e passata di artisti cantori del territorio (e come non pensare a Montanari e De Bernardi) ad altri racconti della nostra verdeggiante terra. In attesa che anche l’opera del maestro Guttuso, a oltre trent’anni dalla morte, torni a riproporci la sua Varese vista da Velate, accesa di tetti rossi su cieli cobalto e tramonti aranciati.

 Giovanni Beluffi: Paesaggi varesini

Varese, Sala Veratti, Via Veratti 20 Varese

Fino al 9 dicembre

Giovedì e venerdì 14.30 -18.30

Sabato e domenica 10.30-12.30 14.30-18.30 ingresso gratuito

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