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Società

PORTO SICURO

GIOIA GENTILE - 21/12/2018

insegnanteIl 12 dicembre Massimo Gramellini, nel suo Caffè sul Corriere della Sera, si è occupato di un episodio che non fa notizia: due ragazzine, una cinese ed una cingalese, trovano un portafoglio pieno di soldi. Si consultano sul da farsi e poi decidono di consegnarlo ad uno dei loro insegnanti e di chiedergli consiglio. L’insegnante recupera l’indirizzo del proprietario, un pensionato che aveva appena ritirato la sua pensione, e fa in modo che il portafoglio gli venga restituito. Il pensionato ringrazia le ragazzine con un biglietto scritto in uno stile forbito e un po’ vecchiotto, ma vibrante di commozione. Un episodio da libro Cuore, lo definisce Gramellini, secondo cui questa, se non è una notizia, è però una meraviglia.

E ciò che lo stupisce è il fatto che le ragazzine si siano fidate dei loro insegnanti, che abbiano deciso di rivolgersi a loro e non ad altri. Lo stupisce tanto che il sabato successivo invita alla trasmissione Le parole della settimana, che conduce su Rai 3, la vice-preside della scuola che le ragazze frequentano.

Evidentemente Gramellini non ha mai avuto a che fare con una classe. Altrimenti saprebbe che non è così strano che gli studenti si fidino dei loro insegnanti. Magari non di tutti, ma sicuramente di quelli – e non sono pochi – che sono riusciti ad instaurare con loro un rapporto di rispetto e di comprensione.

E non è necessario insegnare in una scuola come quella delle due ragazzine, dove, a quanto dice la docente, ogni allievo ha un tutor che lo aiuta ad affrontare tutti i problemi, sia scolastici che personali. Io ho insegnato in una scuola dove non c’erano tutor (o forse ogni insegnante lo era) e ho potuto constatare che i ragazzi, quando sono in difficoltà, ricorrono ai loro professori più di quanto si immagini.

Riflettendo sulla vicenda, ho ricordato un episodio della mia esperienza scolastica che aveva stupito anche me. Quell’anno ero stata spostata dal corso ordinario al corso sperimentale e mi ero ritrovata con tre classi completamente nuove del triennio delle superiori. Con la quinta, in particolare, era più difficile creare un rapporto di fiducia, dato che per due anni i ragazzi avevano avuto un’altra insegnante. Così credevo. Ma un evento tragico mi avrebbe fatto cambiare idea.

Qualche mese prima dell’esame di maturità uno studente si ammalò di leucemia. Me lo comunicò egli stesso, in corridoio dopo una lezione, e, con estrema naturalezza mi spiegò che doveva sottoporsi ad un trapianto di midollo, che, non avendo fratelli, avrebbe dovuto aspettare un donatore compatibile e che forse avrebbe perso parecchie lezioni. Cercai di non far trapelare la mia preoccupazione e, per mostrarmi tranquilla, mi concentrai sul problema secondario: lo rassicurai sul fatto che tutti, insegnanti e compagni, ci saremmo adoperati per non fargli perdere l’esame finale. Qualche tempo dopo il donatore fu trovato e l’intervento fu effettuato. Tutto sembrava filare liscio e ci stavamo preparando a fare in modo che il ragazzo potesse sostenere l’esame in ospedale, quando a scuola giunse la notizia che una complicazione gli era stata fatale. Restammo tutti sconvolti.

Il giorno successivo tre suoi compagni suonarono alla mia porta. Volevano comunicarmi qualcosa, ma nulla che non potessero dirmi il giorno successivo in classe. Avevano solo bisogno di qualcuno con cui condividere un’esperienza troppo dura da accettare, soprattutto alla loro età. Non ricordo di cosa parlammo. Li ricordo bene, però, seduti nel mio salotto: tre ragazzoni ormai maggiorenni e tuttavia spauriti, che cercavano con lo sguardo qualcosa o qualcuno a cui appigliarsi per poter ritrovare la speranza.

Anch’io allora mi stupii. Perché avevano cercato me, che da così poco tempo li conoscevo (e non ero neppure il loro tutor). Non perché avevano cercato un insegnante. Avevo già potuto constatare, in passato, che i ragazzi si rivolgevano a me o ai miei colleghi per avere consiglio o semplicemente per poter esprimere le loro difficoltà, le loro paure ed anche le loro gioie.

Sento dire spesso che i ragazzi sono cambiati. Mi verrebbe spontaneo rispondere “e non ci sono più le mezze stagioni”. Ma questo è un argomento che richiederebbe un’analisi più approfondita.

Qui posso semplicemente osservare che troppa enfasi mediatica su studenti che hanno atteggiamenti irrispettosi o violenti nei confronti dei loro professori ha oscurato il fatto che, nella maggior parte dei casi, la scuola è ancora per i ragazzi un porto sicuro.

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