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Urbi et Orbi

“GOLOSARI”

PAOLO CREMONESI - 21/12/2018

cenone“Meno affettati e più affetto“. Paolo Massobrio si congeda così da una lunga intervista che realizzo con lui per RadioRai. Critico enogastronomico, autore di ‘Il Golosario’ (un volume imperdibile per chi ama cibo e vini) il giornalista invita per Natale a guardare alla sostanza del mangiare insieme: evitare che ci siano persone sacrificate in cucina; portare, come fanno i francesi, tutto o quasi, subito in tavola; lasciare che al primo posto ci siano appunto gli affetti ed il piacere del trovarsi a tavola.

Indicazioni difficili da seguire a Roma in una città dove gli appuntamenti culinari del Natale mantengono una loro immutata ritualità’ dura da smontare.

La tradizione del cenone della vigilia per esempio esige che a tavola ci siano rigorosamente pesce, preferibilmente di piccola taglia. Nella notte tra il 23 ed il 24 dicembre i romani si recavano al mercato del pesce, chiamato cottio, che nella Roma papale si svolgeva al Portico d’Ottavia nel ghetto ebraico. Pio VII lo volle trasferire in una pescheria in via delle Coppelle, dove rimase sino alla Unità d’Italia, quando si spostò a San Teodoro e, nel 1927, ai Mercati Generali. Il cottio è sopravvissuto alle vicissitudini storiche della capitale e nel tempo richiamò anche viaggiatori illustri, gentiluomini e dame in abito da ballo.

Oggi i luoghi di acquisto per questa tradizione si sono spezzettati in decine ma il menù è rimasto lo stesso : un antipasto con gamberetti sgusciati, polipetti, anguilla marinata e sottaceti; un primo che consiste in un brodo d’arzilla e spaghetti con vongole veraci; un secondo che prevede pesce arrosto o gamberoni sgusciati accompagnati dagli immancabili contorni composti dai fritti: broccoli, carciofi, filetti di zucchine, gobbi, filetti di baccalà, patate, mele e ricotta.

La cena si conclude con mandarini, arance, clementine, frutta secca, noci e nocciole, e poi i dolci natalizi tradizionali.

 Il 25 Dicembre la tradizione impone un menù non meno ricco: stracciatella o cappelletti alla romana in brodo seguiti dal cappone in brodo con una salsa aromatica a base di prezzemolo, acciughe, aceto, capperi, aglio, mollica di pane e olio; cotolette d’abbacchio impanate ed accompagnate dal fritto vegetale, dalla cicoria ripassata in padella o dai gobbi lessati con burro e parmigiano. Vini dei Colli laziali. Il tutto con un finis di frutta di stagione e i dolci un tempo acquistati nelle storiche pasticcerie Scurti di piazza San Luigi ai Francesi, Panelli alla Dogana Vecchia, Loreti a Strada Papale e Giuliani a Teatro Valle.

Come nel film di Alberto Sordi “Il tassinaro” i commensali romani non abbandonano la tavola sino alla cena dell’Epifania in un ‘continuum’ di portate e avanzi ricucinati che spiegano molto della stazza dei suoi abitanti. E se in gran parte di loro rimane ancora uno spirito semplice e popolaresco, questo si ripercuote anche nell’ attenzione verso chi è più sfortunato. Sono molte infatti le parrocchie che in questi giorni di festa imbandiscono cene per i poveri. Prima tra tutte la comunità di Sant’Egidio con il grande appuntamento del pranzo del 25 in Trastevere e in altri dieci luoghi della capitale a cui partecipano duemila ospiti. Il menù: antipasto, lasagne, polpettone con verdure, frutta fresca, panettone, spumante cioccolatini e caffè. Buon Natale! (E buon appetito! )

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