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Politica

DALL’ORATORIO AL PARTITO

FELICE MAGNANI - 11/01/2019

dcChi ci è passato lo sa, sa quanto fosse normale passare dall’oratorio al partito, sa quanta cultura religiosa ci fosse nello spirito che animava la politica democristiana degl’inizi.

A volte erano la casualità o la coincidenza a definire un passaggio, ma in ogni passaggio c’era già una consapevolezza che nasceva nella famiglia, nel catechismo, nella vita associativa di un oratorio che diventava luogo di aggregazione, di entusiasmo, di formazione, di attenzione.

Nell’imprinting educativo prendeva forma anche l’inizio di un percorso in cui valori di natura strettamente religiosa si aprivano a un incoraggiante incontro con la realtà, quella che esibiva la sua carta d’identità senza sconti, dimostrando che dopo l’apprendimento c’è sempre una verifica sul campo, una messa a punto che deve dimostrare se lo studio e l’intelligenza siano pronti ad affrontare il mondo. Molti ragazzi si sono avvicinati perché guidati da una consapevolezza interiore, da una formazione incentrata soprattutto sulla persona e la sua dignità, la sua anima, il suo spirito, la sua capacità di essere pensante, capace di distinguere il bene dal male, di tirar fuori il meglio delle emozioni e dei sentimenti, di saper dare un senso compiuto al proprio tempo, di saper sviluppare una filosofia della vita in cui il bene avesse uno spazio fondamentale.

Ricordo tempi animati da esercizi spirituali e da momenti di riflessione politica, tempi in cui gli educatori sollecitavano una presa di coscienza, in cui i giovani imparavano a porsi delle domande e a tentare delle risposte e dove l’azione era animata e sorretta da una funzione logica, da una coscienza critica, c’era soprattutto una gran voglia di stare dentro in quella miscellanea di vibrazioni, umori, sensazioni, stati d’animo che era la vita in tutti i suoi aspetti, anche quelli che inizialmente potevano sembrare troppo grandi o complicati per essere vissuti con intensità e con gioia fin da subito.

Crescere come persone era un passaggio fondamentale, in certi casi anche un po’ traumatico, perché nella vita dei giovani la positività vorrebbe spadroneggiare sempre, anche quando scontrandosi con la realtà prende atto dell’impotenza, dell’impossibilità di adire a ciò che si vorrebbe, a ciò che fa comodo, che fa star bene. Ognuno assumeva uno stile, un modo di porsi.

C’era raffinatezza nell’esercizio esecutivo della cultura e della politica, anche chi era meno avvezzo alla storia del pensiero era comunque umanamente coinvolto, non poteva non chiedersi quale fosse il valore della vita. Nella fase d’avvio non esisteva il problema del leader, le gerarchie erano ben presenti, ma per entrarvi bisognava aver superato il Rubicone. Ogni passaggio era un salto di saggezza in più. Si cresceva esercitando piccole porzioni di potere, dimostrando di esserne all’altezza. Si cresceva con la certezza che la dote principale fosse di natura morale, almeno così ci avevano insegnato persone che tenevano alla nostra crescita.

Era davvero importante e gratificante essere catalogati come bravi, come persone di cui ci si poteva fidare, con tante belle idee nella testa, ma soprattutto con uno stile di vita adeguato. Gli errori facevano parte del gioco, ma l’intelligenza stava nel saperli metabolizzare, nel capire che si sbaglia per fare meglio, per comprendere com’è fatta quella realtà di cui il politico di occupa e della quale si preoccupa.

Ci si confrontava, si parlava, si discuteva e si ascoltava, si cercava di capire quale delle verità esibite fosse quella più consona alle aspettative individuali. I caratteri crescevano e si evidenziavano, c’erano i miti, i pensanti, i loquaci, i riflessivi, quelli che non parlavano per non fare brutta figura.

Il palcoscenico era ampio e vario, ciascuno lo viveva alla sua maniera, cercando di crescere nella maturità e nella capacità di diventare parte attiva di quella società non sempre ben disposta verso chi interveniva modificarla. Cambiare le regole è sempre stata la parte difficile, modificarsi o modificare ha sempre creato problemi di natura caratteriale, adeguarsi creava reticenze di vario ordine e grado, ma alla fine il pensiero dominante era quello che dominava, attorno al quale si polarizzava l’attività di ciascuno. I problemi nascevano quando il potere cominciava a mostrare le unghie, quando per accedere a posti di prestigio bisognava cedere le armi, accasarsi, essere benvoluti e stimati da qualcuno che contava.

Si profilava una politica di tipo conservativo, dove il capo dettava legge e dove gli altri dovevano ubbidire, dimostrando la loro affidabilità. Nascevano i capi corrente, personaggi che godevano di ampio prestigio, di consensi elettorali, insomma lo spirito santo lasciava il posto a interpretazioni personalistiche, fondate sulla forza elettorale, sulla capacità di imporsi.

In questo trambusto si perdevano per strada alcuni valori, la parte più animistica della componente politica non riusciva a tenere il passo di quella legata al potere, alle convenzioni, ai compromessi, qualcosa cominciava a girare storto e a creare malumori, insoddisfazioni, piccole lotte intestine in cui il vincente era quasi sempre quello che godeva del potere forte, quello di chi gestiva le cose importanti e che, naturalmente, era seguito, obbedito, amato e stimato.

Religione e politica cominciavano a rompere una sorta di empatia educativa costruita con intelligenza e con grande determinazione nel corso di anni e anni di condivisioni e di collaborazioni. Il giovane politico non era più solo quello proveniente dall’Azione cattolica, ma era qualcuno che decideva spontaneamente di far parte di un percorso. Di solito dietro l’avanzamento c’era sempre una mano competente, qualcuno che decideva se quel giovane era o no all’altezza di una responsabilità in più.

La Democrazia cristiana non era ossessivamente legata a un’ideologia, anche se i valori cristiani ne erano il trampolino di lancio, era un partito molto aperto, dove non bisognava timbrare il cartellino, per intenderci. Lasciava molto spazio alla maturazione politica, valutando strada facendo le doti e le personalità. Cosa ben diversa erano gli altri partiti, in particolare quello Comunista, indissolubilmente legato a Mosca, a vecchi rigurgiti leninisti, a un’ideologia in cui sgarrare significava violare un’etica assoluta, integralista, con tutte le conseguenze del caso. Noi democristiani siamo sempre stati molto larghi nelle nostre valutazioni, abbiamo sempre cercato di sviluppare forme individuali di giudizio da confrontare con i nostri valori di base, ereditati da una fitta rete di rapporti con l’educazione religiosa di sacerdoti molti attivi e molto attenti all’evoluzione religiosa, umana e sociale delle persone.

Di quegli anni ricordo soprattutto le lunghe attese, l’aspirazione alla libertà come valore morale, la politica come servizio, la forza e la bellezza degl’insegnamenti e soprattutto una fede incrollabile nei valori umani, in tutti i valori umani, soprattutto in quelli che una società indifferente aveva accantonato per fare posto a facili trionfalismi.

Nella nostra vita c’era molto bene impresso il marchio cristiano, che definiva sempre le nostre scelte, i nostri pensieri, il nostro modo di essere e di lavorare. Il Cristianesimo dei nostri sacerdoti era stato una scuola e in quella scuola c’era tutta la nostra vita, familiare, sociale, scolastica, culturale, morale, politica, tutto ruotava intorno al fatto che la politica era la città dell’uomo, il luogo in cui l’umanità doveva trionfare, dimostrare sul campo la propria onestà intellettuale, la propria coerenza rispetto ai valori riconosciuti come fondamentali.

Dunque si partiva per un’esperienza convinti della bontà di tutto quello che avevamo appreso e vissuto, c’era un pregresso importante, anche se poi qualcuno, strada facendo, se ne dimenticava, affascinato dal potere, dalla ricchezza, dal denaro, dalla voglia di comandare, di subordinare la vita politica degli altri alla propria, aprendo così la via a fenomeni che, con il passare del tempo, sarebbero degenerati, distruggendo quella politica dei valori sui quali i giovani avevano appoggiato le loro speranze.

Forse ricostruire si può, ma non s’inventa nulla, tutto si lega alla vita e alle sue aspettative, fermo restando che i valori cristiani sono sempre fondamentali, se riescono a far conservare quella ricchezza di fondo che, sola, è davvero in grado di rivestire l’uomo di dignità umana.

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