Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Attualità

GARIBALDINI D’ARTE

LUISA NEGRI - 25/01/2019

La battaglia di Varese del 1859 nel dipinto di Faruffini ai Musei Civici di Pavia

La battaglia di Varese del 1859 nel dipinto di Faruffini ai Musei Civici di Pavia

L’università varesina dell’Insubria ha festeggiato nel 2018 i suoi vent’anni di vita – essendosi costituita il 14 luglio 1998 – con eventi vari, tra cui una mostra d’arte inaugurata nella sede di via Ravasi in ottobre e giunta ormai a conclusione.

Vi hanno partecipato ventisette tra i migliori artisti del territorio (scultori, pittori, e fotografi). E diversi, è notizia di questi giorni, hanno già lasciato (o lasceranno) in dono all’ateneo loro opere.

Tutti erano già presenti nella rassegna d’inaugurazione del ’98 che s’era accompagnata alla nascita ufficiale dell’istituzione: comprendeva lavori e nomi di primissimo piano accanto alle opere di altri, più giovani, che poi si sono guadagnati meritata fama.

Non è quindi cosa nuova che l’Insubria sia stata sede e continui ad essere motore di iniziative artistiche. Ma se è bello e non inusuale che arte e università vadano a braccetto, è importante che questa frequentazione tra chi fa e chi cerca avvenga sempre più e in più location deputate del mondo della scuola, di ogni ordine e grado: che si faccia spazio aperto e fruibile alla circolazione della cultura tout court, dove si possa liberamente avvicinarsi all’arte, osservarla, confrontarla con le proprie conoscenze. Soprattutto aver contezza, a partire dai giovani, delle potenzialità artistiche del territorio.

Va detto che la collaborazione tra i protagonisti del mondo dell’arte e la città sembra in realtà dimostrare, proprio in questi ultimi tempi, una vicendevole, accresciuta attenzione e affezione, rimandando nel ricordo ad anni felici per il mondo artistico locale, e facendo ben sperare: perché ancor più gli artisti si sentiranno motivati a corrisponderle in termini di considerazione e disponibilità.

La storia di Varese vanta un nobile esempio: possiamo tutti ammirare, passando da Piazza della Repubblica, la bella opera di Entico Butti (1847-1932) dedicata ai caduti della prima guerra mondiale.

Inizialmente collocata in piazza Venti Settembre – era il 1923 e a inaugurarla venne l’allora sovrano Vittorio Emanuele III – fu il generosissimo dono del grande viggiutese alla città. Il Butti non volle infatti per il suo impegnativo lavoro alcun compenso.

Riservato oltre ogni dire, premiato più volte da Casa Savoia per i suoi alti meriti artistici, in anni passati era fuggito letteralmente allorché Umberto I, dopo il meritato successo del Minatore e del Morente, s’era recato in quel di Brera, dove lo scultore insegnava, per complimentarsi con lui.

Il professor Carotti aveva mandato a cercarmi perché sua Maestà il re voleva parlarmi. Fui preso da un tal timore che cominciai a scappare e, per quanto i bidelli e i discepoli si fossero messi a inseguirmi, riuscii a far perdere le mie tracce”. Così si era confidato all’amico cronista Giovanni Bagaini. Al quale aveva detto anche di essersi poi spiegato col sovrano in una lettera di scuse. Diversamente sarebbe andata con l’omonimo nipote di Umberto, il Principe di Piemonte, in occasione della posa della prima pietra e, come abbiamo visto, con il figlio, in occasione dell’inaugurazione – cui Vittorio Emanuele III partecipò con gran seguito – di quel monumento varesino che è tra i simboli prediletti della città.

Il monumento del cavallone”, così ogni bambino di Varese lo definisce fin dalla più tenera età, è un vero punto di riferimento per tutti i cittadini. Un simbolo artistico, ma soprattutto storico e sociale. E già prediletto dal Butti che confessò al solito cronista di ritenerlo – mettendo questa volta da parte la modestia – tra i due suoi lavori migliori. “Ho il profondo convincimento e l’intima soddisfazione di aver creato un‘opera classica perché tale io l’ho concepita e tale io l’ho voluta e compiuta per Varese con sincero affetto di figlio verso la sua terra natale”.

Un esempio che ancora oggi testimonia quanto l’arte possa insegnare: non solo attraverso il suo linguaggio, che parla agli occhi e al cuore della gente. Ma anche grazie a una collaborazione, circolare e vicendevole, tra gli artisti e la loro città.

É importante e necessario che l’arte invada la vita dei giovani, che faccia da punto di attrazione e riflessione, che racconti sé stessa attraverso uno stretto contatto col territorio e la sua storia.

Stiamo per apprestarci a festeggiare i 160 anni dalla battaglia di Biumo Inferiore: fece di Varese la prima città a liberarsi dalla schiavitù asburgica, mettendo a segno la gloriosa vittoria del Risorgimento, che aprì la strada con coraggio, e non senza sacrificio di vite, alla sconfitta di chi ci opprimeva.

Anche questa fondamentale, importante ricorrenza, potrebbe essere occasione per coinvolgere molti buoni artisti – volenterosi emuli di Butti – a cimentarsi con la loro opera sull’argomento, utilizzando naturalmente ciascuno più attuali strumenti e tecniche, linguaggio e contenuti, quali quelli rivelati dalla recente mostra dell’Insubria.

Immutato invece rimarrebbe l’antico sentimento, come di chi porta “sincero affetto di figlio verso la terra natale”. Donandole il meglio di sé.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login