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Noterelle

DANÉE REVOLUTION

EMILIO CORBETTA - 25/01/2019

chiusoLa vivacità della vita di una città come Varese era manifestata anche dalle caratteristiche e dall’aspetto dei suoi negozi, dalle vetrine, dalla esposizione delle merci spesso collocate anche fuori del negozio stesso, dal movimento dei clienti, dalle voci, dai rumori e talvolta dalle musiche che si udivano fin sui marciapiedi. In molte botteghe attività artigianali concorrevano a vivacizzare le vie e le piazze. Per esempio l’attuale fredda e solitaria piazza Marsala era vivacissimo centro di lavorio indefesso, pittoresco, ricco di servizi: c’era il calzolaio, il fruttivendolo, il parrucchiere chiacchierone e pettegolo, si udiva il martellare del fabbro, l’immancabile oste (il Guerrino col gilè di velluto amaranto che mesceva i migliori vini dell’alta Italia), il ristorante “Croce Bianca”, il retro del Pontiggia, inteso come libreria.

Questo era il quadro, ora tutto è mutato. La realtà si presenta più ordinata, più fredda, più silenziosa, poco o per niente pittoresca, più anonima. Nel tempo è stato evidente il mutamento del modo di commerciare. È un cambiamento dei costumi, delle abitudini, della mentalità? Probabile! Senz’altro vi è l’impronta creata dai programmi e dagli incentivi dell’economia nuova.

Noi, come soggetti protagonisti del commercio, in qualità di attivi acquirenti, quindi fondamento del dialogo produzione utilizzo, consumo, notiamo che queste aziende sono diventate parecchio uniformi nell’offerta degli articoli: infatti la fa da grande il commercio di abbigliamento, di occhialeria, di gioielleria e bigiotteria, qualche libreria senza il “libraio”, caffetterie e bar.

È evidente che la realizzazione del profitto si diversifica con dati molto variabili, ma essa è la causa determinante dell’uniformità delle offerte, ovviamente le più remunerative. È logico che vengano abbandonate merci diciamo povere, causa di numerosi “forfait” con conseguente chiusura di molte luci di vendita e rinuncia ai guadagni ridotti, non gratificanti. In un negozio chiuso non c’è nessun profitto, ovviamente, ma non ci sono perdite? Purtroppo la chiusura è una perdita costante sotto molteplici aspetti (è innanzitutto un investimento che non rende), per cui un imprenditore esperto ha sottolineato durante una importante assemblea, in modo un poco provocatorio, che in generale in momenti particolari ė meglio guadagnare poco piuttosto che non guadagnare niente. Soprassedendo alla provocazione, questa è una affermazione di buon senso che sottolinea l’elasticità che si dovrebbe avere in certe aree della città e in certi momenti di “vacche magre”.

Si discute e si studia molto sul problema di “cronica magrezza bovina” dei così detti negozi di vicinato, antitesi dei centri commerciali (per inciso: in certe regioni all’estero questi stanno andando in crisi), non aggregati a compagnie di supermercati, gestiti da singoli imprenditori. Constatiamo anche che il costo dell’affitto di negozi viene incrementato dalle troppo floride offerte delle banche e di gruppi economici nazionali o sovra nazionali.

 Ci sono poi altre attività lontane dal commercio spicciolo, come uffici, agenzie, ambulatori ed altri servizi, ma tutti con vetrine gelide. Nel contempo in Varese vi è un grande proliferare di supermercati che stanno costellando tutta la città, città che sta perdendo lentamente abitanti a vantaggio dei comuni confinanti, anche i più piccoli, che risultano in evoluzione positiva. Questo fenomeno può essere giustificato considerando la facilità con cui oggigiorno ci si può spostare. Ovviamente balza all’occhio la contropartita: il conseguente incremento del traffico con tutte le problematiche ad esso collegate, prime fra tutte gli ingorghi, l’inquinamento atmosferico e l’esponenziale frequenza degli incidenti spesso drammatici.

Nelle aree cittadine dove i negozi chiudono occhieggiando vuoti sulla via, si ha netta la sensazione d’impoverimento della zona con riduzione di posti di lavoro. In alcuni rioni i vuoti delle botteghe vengono occupati dai “cinesi” o da altri operatori stranieri, che fanno rivivere il sito, ma con stile diverso non sempre gradito ai varesini.

Attualmente abbiamo anche lo sviluppo in grande ascesa dell’abile commercio “on line”, che ti fa avere velocemente a domicilio l’articolo di cui hai bisogno e spesso a prezzo più basso. Ora i grandi magazzini più potenti reagiscono facendo anche loro il servizio a domicilio, utilissimo specialmente nei riguardi dei casi sociali, come per esempio gli anziani soli o con ridotte possibilità di movimento. Non è una novità: anni fa c’erano i pittoreschi garzoni dei fornai, dei lattai che portavano a domicilio i pacchetti pedalando su biciclette munite di grandi cesti sui manubri e sul retro sella. Oggi ci sono ragazzi in bici o in motorino con zaini speciali per portar cibi e pizze.

Tutto quanto descritto è una realtà non recente: si manifesta da anni con grosse sofferenze nonostante la capacità di reazione di molti operatori che, con notevole fantasia e capacità imprenditoriale, cercano nuovi sviluppi, ma tanti sono anche quelli che esausti o anche per problemi famigliari gettano la spugna.

Necessità del commercio è il risultato economico: è ovvio, ma il non lavorare, il non servire è decisamente peggio del guadagnare poco, come sopra detto, ma vien da sottolineare che il “guadagnare poco” è una situazione dignitosissima che dovrebbe essere “coccolata” dai Comuni, dagli enti che gestiscono la fiscalità, che agiscono sempre in modo ispettivo e non coltivano l’aspetto consultivo del loro operare, aspetto che in altre nazioni vien preferito con maggior vantaggi burocratici ed economici per tutti.

In questa grigia situazione spadroneggia il mostro burocratico che troppo pesa sugli atti della nostra vita ed è squassante nelle attività commerciali dove non riesce a frenare errori (anzi li moltiplica) e penalizza i guadagni Perché tanto meditare su questo aspetto della vita cittadina? Perché noi Varesini amiamo la nostra città, desiderandola sempre più bella, più viva, più vivibile. Dopo tutto possiamo viverci dentro una vita sola!

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