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Souvenir

TESORO D’IMMAGINI

ANNALISA MOTTA - 25/01/2019

1960, scuola elementare di Bosto

1960, scuola elementare di Bosto

Ho deciso di barattare – felice – la scarsa qualità delle foto da cellulare per il tesoro che custodisce il suo schermo. Perché posso tenermi in borsa e in tasca migliaia di immagini che mi raccontano di figli, nipoti, amici, parenti lontani, e mi aiutano a conservare istanti di vita altrimenti annegati nel tran tran quotidiano.

Beh, certo, meglio gli album di foto stampate e lustre. Che per altro ho accumulato in ogni spazio libero delle nostre librerie già strapiene, senza avere il coraggio di buttare nemmeno quelle sfocate o bruciate.

Ma perché lì dentro c’è lo stargate del nostro passato: senza immagini, i ricordi sono spesso un pressappoco, un flash che non sempre riesci a metter a fuoco. Ma voi vi ricordate forse di essere saliti su quella biciclettina mentre papà vi scattava una foto? O di aver fatto quel tuffo in acqua davanti all’obiettivo? Eppure la foto c’è, e dentro, ci siete voi su quella bicicletta e in quello specchio di mare, anche se non ve ne ricordate più. E così avete riguadagnato un istante di vita.

Io ci passerei le ore, a riguardarmi le foto di famiglia.

Le primissime, ritratti di noi neonati, tutte uguali: a pancia in giù sulla copertina, sederini all’aria e sguardi angelici, nell’atmosfera onirica degli studi fotografici anni ’50. E invariabilmente, maschi o femmine, con una soffice banana di capelli ben ravviati al sommo del capo, tonda e lucida come i due boccoli ai lati delle orecchie: tutti Cicci Bum, insomma.

Poi vengono gli anni delle gite e dei picnic, nelle piccole foto in bianco e nero con i bordi frastagliati, dove mamme e nonne sfoggiano foulard svolazzanti e cestini di vimini ricolmi, e noi bimbi porgiamo con affettata riverenza mazzolini di pratoline cincischiate; gli anni delle Mascherine con sfilata (istantanee tutte col broncio); gli anni delle celebrazioni risorgimentali (Italia ’61 a Torino, ricordate?) con l’intera scuola schierata davanti a un povero direttore col lungo paltò che si sarebbe sorbito innumerevoli mattinate di poesie e cori patriottici (quelle erano scattate da un vero fotografo, con riprese dall’alto, di fianco, di fronte, affollate di grembiulini bianchi e giubbetti neri, tutti con il fiocco al collo).

E foto ricordo dell’inaugurazione di un capannone o un’officina, di un convegno o di un simposio, dove gli uomini sono tutti in abito scuro camicia bianca e cravatta – anche gli operai, almeno per quel giorno – tutti con il cappello, con la stessa montatura di occhiali, quasi intercambiabili tra loro; e le (rare) donne con tailleur, blusina, borsa di coccodrillo e mini cappellino spillato sulle onde dei capelli.

Con il colore e gli apparecchi automatici, le occasioni si moltiplicano: l’uscita da scuola, l’automobile nuova, la festa di compleanno, il Natale coi nonni, il giardino fiorito, il tramonto dal balcone, la lezione di piano, la nuova tappezzeria… Povere fotografie, queste, che come per vergogna hanno perso le tinte originali e si sono arrossate, diventando a volte illeggibili, e senza pietà dimostrano i loro cinquant’anni di vita.

Le migliori, però, sono quelle dei matrimoni, dove è schierata l’intera famiglia. Ma queste bisogna guardarle insieme, e soprattutto commentarle, insieme:

“Com’eri magro – quanti capelli – ma che razza di vestito – avevi la frangia? – che gonne lunghe- che gonne corte – che spalle larghe – che maniche striminzite -ma davvero quello lì è il Giovanni?”.

Fino al commento clou: Cavolo, com’eravamo giovani!

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