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Attualità

GENIO DEL SOCCORSO

ROBI RONZA - 28/01/2019

zanberlettiPersonaggio positivamente atipico della politica italiana, Giuseppe Zamberletti, morto a Varese dove era nato nel 1933, merita un ricordo assai più ampio di quello oggi molto ripetuto di fondatore della Protezione Civile italiana; tanto più che la Protezione Civile di oggi ormai assomiglia ben poco a quella da lui immaginata e voluta.

Con i suoi funerali di Stato a Varese, per i quali (martedì 29 gennaio alle 10.30 nella basilica di San Vittore) è annunciata la presenza sia del presidente della Repubblica che del presidente del Consiglio, verrà a ragione celebrato un uomo politico che fece onestamente cose egregie con grande efficacia; e anche con sorprendente distacco. Chi lo conobbe personalmente ebbe anche modo di apprezzarne lo stile semplice, diretto, e lontano da qualsiasi prosopopea.  Non puntò alle massime cariche di governo, come avrebbe potuto in forza dei suoi successi. Uscita poi di scena la Democrazia Cristiana, il partito in cui si era formato, pur mantenendo una certa presenza nella vita pubblica lasciò definitivamente la scena della politica.

Ricordarlo però soprattutto come fondatore della Protezione Civile italiana, come fatalmente accade in questi giorni, finisce  non solo per essere un equivoco ma anche per lasciare in ombra ciò che di più originale c’è stato nella sua azione politica. A causa infatti della sin qui mancata riforma generale della macchina amministrativa dello Stato,  il Dipartimento della Protezione Civile, che opera in un quadro giuridico specifico e privilegiato, è divenuto una specie di strumento di amministrazione straordinaria cui si affidano compiti che vanno anche ben al di là dei motivi per cui è nato e dei limiti entro i quali dovrebbe operare. Si sente e ancora molto si sentirà lodare  Zamberletti  come colui che volle la Protezione Civile non solo come struttura di pronto intervento in caso di catastrofe, ma anche come organo di previsione e di gestione del rischio sismico e idrogeologico. E’ appunto questo secondo ruolo che, opportunamente gonfiato da un punto di vista sia giuridico che burocratico, ha trasformato il Dipartimento della Protezione Civile in ciò che oggi è, ossia in uno dei “burosauri” che con grande efficacia complicano e rallentano la ricostruzione delle aree terremotate.

La grande genialità di Zamberletti fu tutt’altra, ed è quella di cui non si parla mai. Fu quella di distinguere con chiarezza tra le fasi del primo soccorso e dell’emergenza da un lato e la fase della ricostruzione dell’altro. Per le prime due, per natura loro di tipo “militare”, occorre una struttura appunto di Protezione Civile, pre-organizzata, in certo modo centralizzata, e dotata di pieni poteri. Quando invece viene il momento della fase successiva, quella appunto della ricostruzione, gli organismi esterni devono ritirarsi e la responsabilità della ricostruzione deve tornare nelle mani dei diretti interessati ossia delle istituzioni e della società civile delle zone colpite.

Questo è appunto ciò che tipicamente Zamberletti fece in Friuli nel 1976  per incarico del governo del tempo,  presieduto da Aldo Moro. In forza di un apposito decreto poté operare nella fase dell’emergenza come un vero commissario straordinario (non come gli pseudo-commissari nominati dopo i recenti terremoti dell’Italia centrale). Vincolato al solo rispetto “dei principi generali dell’ordinamento giuridico” e disponendo di un fondo di 70 miliardi di lire a lui affidato “in gestione autonoma e fuori bilancio”, operò con poteri vastissimi. Non appena però si giunse alla fase della ricostruzione, si  ritirò lasciando il passo alla Regione e ai Comuni. Era dunque la sua una filosofia del tutto diversa da quella oggi alla base dell’attuale Dipartimento della Protezione Civile. Più che mai in questi giorni vale la pena di ricordarlo.

www.robironza.wordpress.com

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