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Società

PAURA, RANCORE

EDOARDO ZIN - 01/02/2019

ghettoAbbiamo ricordato. Abbiamo visto entrare in casa immagini di sterminio, di sangue, di dimore bruciate, di macerie fumanti, di bambini scheletriti, di donne maltrattate, di anziani strascicati a forza, di vagoni piombati, di campi di detenzione, di fili spinati, di cani famelici aizzati contro uomini inermi. Abbiamo udito le canzonacce degli sbirri ubriachi, dopo aver stordito con pugni e calci adolescenti malinconici. Abbiamo ascoltato le voci dei superstiti che hanno narrato gli inenarrabili scempi con un filo di voce, quasi per celare con pudore i loro supplizi. Nelle loro parole abbiamo scorto insicurezze, paure, perfino sensi di colpa. Un minuscolo frammento del caos che giaceva nel profondo del loro cuore. E noi a chiederci: “Com’è stato possibile? Ma erano uomini quegli aguzzini? E Dio dov’era?”. Abbiamo visto e udito per cercare di conoscere perché comprendere è impossibile. Lo abbiamo fatto perché ciò che è accaduto può ritornare.

E in mezzo a tanto orrore, abbiamo colto gesti d’amore: il compagno di baracca che condivide una patata con chi il gelo aveva fiaccato le membra, il dono di una fetta di carota dolciastra che diviene viatico per chi è ridotto in fin di vita, il carceriere che conserva ancora in cuore un pizzico di pietà e deterge con l’acqua la piaga purulenta di una giovinetta.

Abbiamo fatto memoria non per versare lacrime, per commuoverci per qualche istante e riposare poi tranquilli nel nostro letto caldo di buone intenzioni. Abbiamo ricordato non solo gli orrori, ma anche la vittoria del bene sul male. E abbiamo pensato che Dio era là, nei gesti compassionevoli. Dio non era morto. Stava costruendo attraverso quegli uomini e donne una nuova storia, una nuova era di pace, di concordia, di solidarietà. E ci siamo sforzati di capire se il nostro tempo sia così atroce al punto tale da non imparare dagli insegnamenti del passato. Abbiamo concluso che il senso del nostro tempo è che tutti, credenti e non, dobbiamo assumerci oggi le responsabilità del mondo.

Ci sono state madri di questa storia – Edith Stein, Hannah Arendt, Simone Weil, Etty Hillesum ed altre – che hanno portato nel loro grembo per anni i germi di una nuova vita, hanno accettato la sofferenza per dare una creatura nuova al mondo: nella loro angoscia albergava l’intuizione che sarebbero arrivati giorni migliori. Sono le “fondatrici” dell’Europa.

E arrivarono questi giorni annunciati da uomini che avevano maturato l’idea che per vivere per e con gli altri bisognava tenere conto del tempo in cui viviamo perché chi non tiene conto della storia si chiude in se stesso. Avevano vissuto anche loro il dramma di due guerre mondiali e il loro sogno era quello di unire vinti e vincitori in un mondo di pace portatrice a sua volta di libertà, di democrazia, di giustizia sociale, di solidarietà.

Schuman tese la mano al nemico di una volta Adenauer. E il perdono divenne la pietra angolare su cui costruire la comune casa europea. A loro si unì De Gasperi e poi molti altri. Costruirono una comunità che, prima di essere un’entità economica o un’alleanza militare, voleva essere una comunità di valori spirituali e culturali. Si realizzava così il sogno di Monnet e di Spinelli: sono i “padri fondatori” dell’Europa.

Erano uomini che provenivano da nazioni diverse, che avevano interessi contrastanti, storie multiformi, ma erano mossi dal desiderio sincero e profondo di unire i popoli perché ciò che avevano visto e udito non si ripetesse mai più.

Oggi uomini e donne, che patiscono nel loro paese fame e guerre, lasciano la loro casa, la loro terra, i loro affetti, si addossano viaggi estenuanti attraverso il deserto, arrivano in un porto con la speranza di poter partire con ogni mezzo – sì, anche con quello degli scafisti! – per raggiungere approdi ospitali, ma vengono detenuti e ammassati in campi di detenzione simili a quelli che abbiamo visto scorrere sugli schermi televisivi. Allora dobbiamo ricordare e trasformare l’inaccettabile in ammissibile.

Dobbiamo ricordare che fascismo e nazismo sorsero non in seguito a guerre dichiarate, ma perché i loro duci governarono, dapprima con le parole e poi con le minacce, le emozioni alimentate dalla paura del diverso, dal rancore verso l’avversario. Le parole degli agitatori politici resero stupidi gli ascoltatori in modo che questi credessero di essere intelligenti e forti come coloro che le pronunciavano. Non volevano accettare che la buona parola deriva sempre da una buona testa. E dalla parola corrotta si arrivò così alla Resistenza che creò – occorre ammetterlo! – nuova violenza.

Oggi i nemici sono i migranti, soprattutto se “negher”, i giornalisti, i giudici, gli intellettuali. Precedentemente erano i “terroni”, prima ancora i bolscevichi, come se in politica si vincesse non per le proprie idee, ma per giustizialismo. E mentre si aizzano gli animi contro i deboli, i disperati, i diversi si dimenticano i grandi problemi che affliggono l’Italia: l’evasione fiscale, la corruzione, le mafie, la bassa scolarizzazione, la disoccupazione giovanile…I capri espiatori vengono sfruttati anche per distogliere la gente da questi gravi problemi.

Ricordare gli atroci scempi di un tempo vuol dire non abbassare la guardia davanti ai delitti che si compiono oggi contro l’umanità perché ricordare è facile per chi ha memoria, dimenticare per chi non ha cuore.

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