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Noterelle

POVERTÀ

EMILIO CORBETTA - 01/02/2019

povertaTanti appartamenti sono vuoti. Perché? Dove sono quelli che dovrebbero viverci? Dov’è il popolo varesino? Non è nelle piazze con gilet gialli, anche se motivi per protestare ne avrebbe. Non stipato in grandi piazze per dibattere sulla TAV come è avvenuto a Torino. Non in piazza Duomo a Milano o in Piazza del Popolo a Roma per chiedere rimedi alle impellenti necessità di vita.

Nella nostra città dov’è la gente, il popolo? È nascosto tutto chiuso in scatole metalliche che lo trasportano su ruote di gomma? O è andato ad abitare nei comuni circostanti per viverci meglio e ivi lavorare? O è andato via a frequentare università straniere? O all’estero a metter su imprese proprie, faticose da tirar avanti, ma floride di successi e profitti? O in laboratori di altri paesi, a stimolare i propri neuroni cerebrali là dove la bravura è premiata? O è nei gruppi di giovani che attraversano la città con sulle spalle zaini pieni di pesanti libri e le gambe imbragate in calzoni di tela con buchi sulle ginocchia? O è fra gli scaffali dei super mercati a cercare l’alimento che costa meno? O anche sta passando ore in centri commerciali confrontando i prezzi? O qualcuno invece cammina piano piano per le vie della città rischiando la vita sulle strisce pedonali?

C’è chi vive silente in due stanzette comperate con un mutuo che gli ha segnato la vita, in difficoltà di salute, colpito dalla mannaia degli appuntamenti infiniti della medicina pubblica. Purtroppo portatore di un dolore definito cronico, ma vissuto acuto giorno per giorno, per cui non può accettare i tempi proposti dalla “ex mutua”, oggi “azienda sanitaria”; se vuol curarsi con efficacia deve pagare, ma dopo poche sedute di terapia metà della sua pensione se n’ė andata. Lui che non ha la pensione sociale, ma nemmeno una di quelle d’oro, si trova al bivio: o alimentarsi o curarsi stando a pane e latte. Eh sì! La perversa Regione ad arte allunga i tempi delle cure così tu vai a spendere per curarti e lei risparmia. Se paghiamo noi non spende lei. Non scatta il formigoniano progetto della concorrenza fra le due, ma si realizza maggior spesa di te solito Pantalone, che soffri in tutti i modi e basta, senza la compagnia della voce suadente di Colombina e gli sberleffi di Arlecchino.

Tanti sono i varesini che in silenzio, con decoro, vivono senza affollare i servizi sociali, senza manifestare per dignità i disagi di un vivere stentato. Ma oltre i poveri di moneta ci sono i poveri d’affetto. Quelli soli delle case di riposo, quelli abbandonati lì dai parenti e dai figli, quelli affidati alla grossolanità delle badanti. Loro ai figli han dato tutto, ma i figli non ce la fanno a restituire il dono della vita, sono impossibilitati o per lo meno lo credono.

I poveri son tanti di numero ma sono anche tante le forme di povertà. Il popolo nascosto, che vive in condizioni men che modeste, va cercato e scoperto per poterlo aiutare in modo che non rinunci alle cure e non sia costretto ad accettare con rassegnazione la sofferenza, con immenso spirito di sacrificio.

Il popolo che tremebondo sopporta la paura degli immigrati. Ammettiamolo pure: non è facile superare o non avere questo timore. Non è facile vedere in loro debolezza, disperazione, povertà; al contrario si vedono dei nemici, dei parassiti. Si diventa irrazionali, si lascia crescere diffidenza nei confronti di questi uomini, giovani, dall’aspetto sano forte, che rubano gli spazi della città. Paura perché li vedi “bighellonare” inutili, oziosi, perdi tempo? Per arrivare qui hanno prima rischiato la vita nel Sahara e poi nel mar Mediterraneo. Alcuni son sopravvissuti a gravi naufragi dove tanti altri sono morti. Ed ecco il paradosso: ora son qui a non far nulla?

E noi, povero Africano, abbiamo paura di te e ti abbandoniamo senza saper utilizzare le potenzialità in te presenti, salvo che tu sappia giocare bene al calcio, ma poi ti insultiamo. Solo la malavita sa prenderti ma a prezzo della schiavitù.

Popolo varesino che dichiari di difendere le “tue radici” e non sai più nemmeno pregare, non sai più andare in Chiesa come facevano i tuoi padri? Non sai recuperare il brutto cemento delle tue fabbriche vuote e vai a coprire con cemento nuovo le tue terre invece di coltivarle. Popolo varesino che non sai più leggere, che non sai più studiare, ma non sai più insegnare, educare. Dove sei popolo varesino che non sai più scrivere: non ricordi che dicevi grandi cose stampando rivistine con uno strumento di poco più efficiente di un ciclostile ed ora invece abbandoni le nuove tecnologie di stampa lasciandole senza parole? Popolo varesino che hai prostituito il tuo Ospedale per credere di avere una Università! Dov’è la tua voglia di vivere, di fare, di agire che avevi quando uscito dalle sofferenze di una folle guerra avevi ripreso a fabbricare, a produrre, a inventare nuove tecnologie per fare, e sapevi rendere floridi gli orti dei tuoi padri.

Per carità: gli attivi ci sono ancora fortunatamente, ma sono sempre meno e purtroppo il buono si vede meno, molto meno del passivo.

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