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Attualità

LA PAGELLA

GIOVANNA DE LUCA - 01/02/2019

pagellaAvevi quel tesoro in tasca, quando sei partito.

Era tutta la tua forza, tutto il tuo futuro. Per farlo valere, e dimostrare che avevi una dignità, la volontà di essere un uomo come tutti quelli che popolano la terra, hai lasciato i tuoi fratelli, tua madre, gli amici analfabeti. Avevi quattordici anni, e non sapremo mai il tuo nome. Forse pensavi di tornare, un giorno, per aiutare il tuo paese, il Mali, a vincere la mortalità infantile, il colera, l’analfabetismo, l’Aids…

Chissà cosa pensavi veramente, quando sul barcone, tra sofferenze inenarrabili e violenze del mare e degli uomini, controllavi non visto se la pagella era sempre lì, cucita nella giacca, dove di solito si mettono i valori cui più si tiene, che un’onda non te l’avesse strappata, che una mano, cercando denaro o qualsiasi cosa avesse scucito quella tasca, il tuo forziere, mentre dormivi quanto si poteva dormire.

E quanti sogni, quanto coraggio, quante speranze, a parlarne con i tuoi (ma chi saranno stati, i tuoi? Mai lo sapremo).

Ma tu eri disposto a tutto, perché avevi la pagella da mostrare, la tua pagella: il ”Bullettin scolaire”, e poi “mathematique”, “français”…Tutti ottimi voti.

Li legge l’anatomopatologa che ti sta facendo l’autopsia, e certo, pur così abituata a tutto, è vinta dalla commozione.

Non è la prima volta che creature anche assai più piccole di te ci hanno sconvolto con la loro morte, ma questa volta c’è di mezzo la pagella.

Tu sai, lo hai capito, cosa significa studiare, saper fare un discorso per difendere le proprie idee, agire per una causa, comunicare sentimenti ed emozioni. E al tuo paese sei stato tra i fortunati che sono andati a scuola. Così volevi mettere a frutto la tua consapevolezza.

Non ti è stato possibile.

Che la tua storia serva come insegnamento a quei nostri ragazzi che, nelle loro tasche, portano altro, non certo una pagella. E se la tua pagella cucita nella tasca servisse a far riflettere non solo chi disistima lo studio ma anche noi adulti che abbiamo dimenticato quale valore abbiano le parole e come lo studio avrebbe dovuto insegnarci ad usarle bene, noi tutti dovremmo dirti : “Grazie!”.

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