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Cultura

LA NOSTRA ARCHISTAR

ROSALBA FERRERO - 08/02/2019

Il Famedio al Monumentale di Milano

Il Famedio al Monumentale di Milano

Carlo Maciachini eclettico visionario geniale ardito è uno tra gli architetti che più hanno inciso nel tessuto urbano milanese dell’Ottocento.

Famosissimo in vita e ricercatissimo dalla committenza aristocratico-borghese, fu poi dimenticato nonostante i lavori da lui realizzati restino tra i più noti e visitati del capoluogo lombardo, come il Cimitero Monumentale.

Ma l’occasione del bicentenario della nascita e del centoventesimo anniversario della morte ha portato alla ‘riscoperta’ di una voce eclettica e geniale, e la casa editrice Jaca book gli ha dedicato un volume dal titolo volutamente interlocutorio ‘Carlo Maciachini un positivista eclettico’ in cui Carla De Bernardi e Lalla Fumagalli hanno narrato la vita privata e, grazie al contributo di numerosi studiosi, tra cui lo storico dell’arte Sergio Rebora, Ornella Selvafolta, Amedeo Bellini autori dei testi del libro promosso dall’associazione Amici del Monumentale, ne hanno disegnato quella pubblica e culturale.

Carlo Maciachini nasce il 2 aprile 1818 a Induno Olona. Agostino e Rosa Cagnola, i genitori, sono contadini ma la terra è avara a quei tempi e perciò indirizzano il figlio sin dall’adolescenza al lavoro di falegname, per contribuire al bilancio familiare. Carlo è apprendista in varie botteghe di Induno, e dimostra subito grande abilità e ‘spiccate doti d’intaglio’. A vent’anni si trasferisce a Milano in cerca di fortuna; lavora nella bottega dell’ebanista Carlo Invernizzi, perfeziona il suo stile; nelle sue mani il legno diviene duttile, le forme che crea sono stupefacenti; riceve il plauso della committenza tanto che può aprire un suo laboratorio a Terraggio, vicino a porta Vercellina. La notorietà acquisita come ebanista è tale che gli viene commissionata la realizzazione del letto a baldacchino destinato ad accogliere l’imperatore Francesco Giuseppe e sua moglie, Sissi, ospiti a Palazzo Reale nel 1857: infatti Milano é ancora possedimento dell’Impero Austro-ungarico.

Maciachini lavora e studia, come la maggior parte dei giovani ai quei tempi: di giorno intaglia gli arredi per palazzo Cagnola, Antona-Traverso, Crivelli e per molte altre case patrizie, la sera frequenta i ‘corsi serali di ornamento e architettura’ all’Accademia di Brera. Si perfeziona in disegno geometrico, prospettico ed ornamentale, in restauro architettonico, sviluppa una grande passione per l’architettura; ha frequentazione con Carlo Armati, fautore del neoclassicismo, titolare di cattedra a Brera come Saverio Cavallari, amante del romanticismo quattrocentesco, e Camillo Boito, esponente di rilievo della cultura milanese, e Friedrich von Schmidt, purista del neogotico, di cui subisce il fascino e matura l’amore per tutto ciò che ha sapore ‘medioevale’. La formazione si completa con gli studi e con la conoscenza delle realizzazioni contemporanee, la chiesa neoclassica di San Carlo al Corso opera dell’Armati, la casa neo-bramantesca opera di Pestagalli. Elabora una sua cifra personale eclettica uno stile assolutamente inedito, che si muove tra il romanico e il gotico, fusi abilmente con influssi orientali greco-bizantini molto apprezzato dalla committenza; nel 1860 si diploma architetto a Brera.

Giova ricordare che il Politecnico a Milano fu fondato solo nel 1863, dopo l’annessione della Lombardia al Regno di Piemonte: sino al 1859 Milano era nell’orbita politica e culturale dell’Impero d’Austria, ciò spiega la partecipazione del Maciachini al concorso per l’edificazione della chiesa serbo-ortodossa di Trieste, – il concorso pubblico fu bandito nel 1858 e l’invito ‘imperiale’ venne rivolto ai più rinomati architetti di Vienna, Venezia, Milano, Monaco di Baviera, Roma, e Pietrogrado, come riportato da ‘L’osservatore triestino’.

L’ Accademia delle Belle Arti di Venezia, tra i sette progetti presentati, scelse quello contraddistinto dalla sigla «A-Ω», di Maciachini, ancora allievo dell’Accademia di Brera, che realizzò un edificio di sapore greco-bizantino con l’impianto a croce greca e cinque cupole secondo la tradizione orientale: alla grande cupola centrale accompagnò le quattro cupole angolari a guisa di campanili; disegnò la facciata con elementi derivati dallo stile romanico italiano. Combinò linguaggi e stili diversi, secondo un canone di lavoro che rimarrà costante nella sua produzione, e li rimaneggiò secondo il desiderio dei committenti di possedere un tempio maestoso, che fosse la prova della loro forza economica.

Se la fama di Maciachini cresce grazie alla realizzazione della chiesa di San Spiridione nel mondo mitteleuropeo, è con il Cimitero Monumentale che la sua fama si consolida a Milano e gli attira poi le commissioni dei maggiorenti milanesi, rendendolo una vera ‘archistar’, ricco e famoso.

Infatti nel novembre del 1860 partecipa al bando del concorso per il nuovo cimitero di Milano: tra i 28 progetti presentati, nel 1863 il suo fu decretato vincitore nonostante –pare- l’opposizione del Boito, membro della commissione e presentatore pure lui di un progetto. Il Monumentale, che sarà inaugurato nel 1866, è un’opera ambiziosa: Maciachini inizialmente aveva puntato su strutture orientaleggianti, secondo il gusto in voga per l’esotico, poi vira su strutture a pianta centrale, fondendo elementi gotici con elementi bizantineggianti, romanico-pisani e quattrocenteschi; la commistione fuori dall’ordinario tra stili diversi ha risultati accattivanti, molto graditi alla ricca committenza aristocratico-borghese e ai nobili imborghesiti, votati al mondo dell’industria e della finanza, incline sì a un gusto per il nuovo, per l’esotico, l’orientale, ma attaccato in parte ancora alle tradizioni, che nelle edicole esigeva si tastasse la potenza economica della famiglia. Banchieri industriali, esponenti di famiglie della vecchia nobiltà meneghina, tutti vogliono la cappella firmata Maciachini, un vero status symbol, indispensabile per appartenere alla Milano che conta ‘Un banco in Duomo, un palco alla Scala, un’edicola al Monumentale’.

L’architetto respira l’aria positivista del suo tempo: crede nel progresso della scienza che migliorerà la vita degli uomini, trasferisce, forse inconsciamente, il suo modello vincente di vita a tutta l’umanità in una sorta di visione ontogenetica. Opera scelte senza dubbio innovative, basti pensare che nel Monumentale, in un periodo storico in cui l’inumazione era la regola, prevede e realizza un forno crematorio, finanziato dall’industriale della seta Alberto Keller.

Il famedio, posto al centro della struttura, riassume la cifra stilistica del Maciachini: il tempio, originariamente una chiesa, poi ultima dimora terrena dei milanesi illustri, ha la pianta a croce greca, ampie rampe di accesso, il vasto fronte bi-cromo costellato di pinnacoli, portici laterali, domina il piazzale di ingresso.

Il Monumentale accolse via via le spoglie degli artisti, a partire dai fratelli Induno, Gerolamo e Domenico, e poi Alessandro Manzoni; lo stesso Maciachini riposa in un’edicola posta di fronte a quella dei Barbiano di Belgioioso, una delle famiglie della più alta nobiltà milanese.

Fama onori e denaro ora non mancano: con Maria Rosa Riva che ha sposato nel 1842 e coi figli, tra cui Augusto che diverrà ingegnere, si trasferisce in via Turati ove si è fatto costruire una sontuosa residenza monumentale realizzata senza economie in stile neo-medioevale, “Una casa grande e vistosa su una delle nuove eleganti arterie che collegavano la stazione al centro città’… L’arteria si chiamava Principe Eugenio, oggi è largo Donegani,” … l’enorme casa, distrutta durante la seconda guerra mondiale, fu demolita per lasciar posto al palazzo realizzato da Giò Ponti che oggi ospita l’ambasciata statunitense.

Continua a occuparsi della costruzione del Monumentale sino al 1887 e contemporaneamente lavora alla edificazione e alla ristrutturazione di chiese come S. Carlo a Biasca, S. Maria del Carmine, S. Simpliciano, S. Marco a Milano; S. Maria Assunta a Soncino; mette mano ai capitelli corinti della chiesa di Bodio e ai pergami della chiesa di S. Vittore a Varese, riprogetta la facciata del Duomo di Pavia costruito da Bramante…

Si spegne nel 1899 a Varese in una villa sul viale Aguggiari ove coltiva le rose… Scrive Giuseppe Merzario: “Era uno dei cinque architetti, nello stretto senso della parola, del territorio. Deve la sua educazione e riuscita nell’arte a se stesso, cioè all’ingegno naturale e a una volontà tenace”.

A Milano gli è stato dedicato un piazzale sulla circonvallazione esterna di Milano, e nel 2003 è stata inaugurata l’omonima stazione della metropolitana sulla linea M3.

Il volume: ‘Maciachini. Un positivista eclettico’ a cura di Carla De Bernardi e Lalla Fumagalli Jaka Book editore, verrà presentato a Varese, nella Sala Montanari, il 15 febbraio alle ore 18.

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