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Cultura

TRADIZIONE

CARLO ZANZI - 22/02/2019

giobiaL’ultimo giovedì di gennaio si è svolta a Varese, organizzata dalla Famiglia Bosina, la Festa dra Giöbia, una festa tradizionale della nostra città, antesignana della festa delle donne. Durante la cena viene premiato il Poeta Bosino dell’anno appena concluso: per il 2018 la vittoria è andata ad Antonio Borgato (foto), che è anche il nostro Sovrano di Carnevale. Questa circostanza mi ha portato a riflettere sul tema della tradizione, che vorrei qui sviluppare in sintesi.

La famiglia Bosina è nata oltre sessant’anni fa, con l’intento di difendere la varesinità, ‘inquinata’ per dir così dalla presenza dei fratelli del Sud Italia o comunque extralombardi, sempre più numerosi anche a Varese. Un intento che oggi appare discutibile, allora forse meno. Da subito la Famiglia ha operato su alcuni fronti: la difesa delle tradizioni (soprattutto alcune feste), il dialetto (con la nascita del Cenacolo dei Poeti e Prosatori dialettali), la stampa di un annuario, (il Calandàri) e di altri volumi, quali gli scritti di Speri della Chiesa Jemoli, l’attenzione verso il Gruppo Folk Bosino (nato ancor prima della Famiglia) e la Compagnia teatrale, successivamente l’animazione del Carnevale, coinvolgendo i rioni della città.

La domanda è la seguente: ha ancora senso tutto ciò? Ha ancora ragion d’essere un’associazione che investe tempo e denari, per il raggiungimento di finalità che potrebbero apparire obsolete?

In effetti i giovani (e per giovani intento i trenta-quarantenni) non sentono affatto il richiamo di una simile realtà associativa, ed è difficile anche coinvolgere i cinquanta-sessantenni. Perché continuare? La memoria del passato e di chi in quel passato ha lasciato una traccia importante è di per sé un valore da perseguire?

Non è meglio proiettarsi nel presente e nel futuro? Ciò che è stato è stato, ora si va avanti. Sono domande che la Famiglia Bosina dovrebbe, a mio avviso, porsi ed approfondire.

Il mio modesto contributo è il seguente.

E’ innegabile che quando si arriva ad una certa età, diciamo intorno ai sessanta, smarrita la propensione al futuro tipica dei giovani, si senta il richiamo del passato. La paura di essere dimenticati ci porta a valorizzare chi è venuto prima di noi, con la speranza che poi qualcuno si ricorderà di noi. Fa parte della natura umana. E’ l’estendere su più ampia scala ciò che privatamente tutti vivono, quando veniamo privati di affetti importanti: i nonni, i genitori, magari un fratello, una sorella, amici cari. Il desiderio di ricordarli è forte, la loro memoria ci accompagna.

Riportare alla luce eventi e persone ha il suo valore, a due condizioni: che si riesca a far emergere il collegamento fra il passato e il presente, e che non si dimentichi il presente, perché è sempre meglio essere ‘celebrati’ da vivi che da morti.

La Famiglia Bosina in fondo assolve a questo secondo compito, con l’assegnazione annuale della Girometta d’Oro, e con la cura del Calandàri, che è un volume che parla del passato, ma non dimentica il presente e spunti utili al futuro.

Rispetto al dialetto, è decisamente fuori dal tempo pensare di poterlo reintrodurre nella scuola (falliti i tentativi della Lega Nord), ma è bello mantenerlo in vita nella poesia, nella musica, nel teatro. E’ una ricchezza, un di più culturale, importanti poeti hanno raggiunto con il dialetto, non solo varesino, significativi risultati. Certo, inevitabilmente la sua fine è segnata, e resteranno fra non molti anni rari estimatori che ancora lo parleranno e lo sapranno comprendere. In questo senso meritoria è l’opera di chi (penso ad esempio al Parolario di Clemente Maggiora e Natale Gorini) ha fornito strumenti utili alla sua conservazione nel tempo. Bene il concorso Poeta Bosino, il Gruppo Folk, il Cenacolo, la Compagnia teatrale, anche se inevitabilmente trovano grosse difficoltà di sopravvivenza, carenza di sponsor e di nuova linfa, cioè nuovi soci, nuovi poeti, cantanti, attori, prosatori.

Un ultimo pensiero: la nostalgia del passato, la valorizzazione di ciò che è stato nel tempo che fu, con conseguente ‘disprezzo’ del presente, non è un atteggiamento costruttivo e corretto. L’esperienza regalata dal tempo è da valorizzare, ma deve sempre sapersi mettere in discussione. Un saggio scrisse che siamo nani sulle spalle di giganti, e grazie a questi giganti che ci hanno preceduto riusciamo a guardare lontano. E’ vero, ma i nani, ogni nano vuole costruirsi la sua vita, la sua storia, a modo suo, originale, individuale, ed è un diritto lecito. La vita è una. Si tratta allora di trovare una sintesi fra il passato, che merita l’ascolto, e il presente-futuro, che sono la nostra esistenza in divenire.

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