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Editoriale

TENNIS

MASSIMO LODI - 01/03/2019

tennisSalvini sfotte il Pd. Sentenzia: il risultato dell’ultima serie di chiamate elettorali è 6-0 per me. Ma se la mettiamo sul piano dello sport, cioè del tennis in questo caso, la racchetta sovrana della Lega ha da preoccuparsi dei rovesci altrui, oltre e più che dei suoi dritti. I rovesci sono quelli dell’alleato Di Maio, specialista dei fuoricampo con le maglie da capo dei Cinquestelle, vicepremier e ministro dello Sviluppo economico.

Un professionista del dilettantismo, come dimostrano le gaffe a getto continuo quando ricopre il ruolo istituzionale e come confermano i tracolli dell’M5S a ogni occasione di voto. Dàgli e ridàgli, l’ex steward dello stadio del Napoli è diventato un pericoloso compagno di squadra per il permanente ultrà del Milan. Pericoloso, sì. Non solo imbarazzante. Salvini teme il contagio: di dover pagare una parte dei danni (leggi: emorragia di consensi) causati dal sodale col quale è nata “…una storia infinita”. Infinita? Ma va là. Se Di Maio si schianta alle regionali della Basilicata e poi del Piemonte, in calendario assieme alle europee, Salvini lo scarica. Peraltro in prevedibile e casuale sintonia con la delusa ala antigovernativa dei grillini, il comico medesimo e Casaleggio junior. Perfino Rousseau, se resuscitasse scoprendo di dare il nome a una traballante piattaforma informatica, esibirebbe il pollice verso. Alla Robespierre.

La Lega ha due opzioni nel post Di Maio. La prima: rifare un governo sulle ceneri di quello caduto, riunendo in un’alleanza Forza Italia, Fratelli d’Italia e il gruppo di fuorusciti dai Cinquestelle (ci saranno, ci saranno: cosa non si fa per conservare lucrosi scranni). La seconda: favorire il ritorno alle urne, frantumando la legislatura. Sarebbe un’occasione da ko: vittoria sotto le insegne del tradizionale centrodestra e premiership al Capitano, intanto adoperatosi con vibrante lena nel sottrarre a Berlusconi i residuali consensi di cui gode.

Nelle more d’una tale avventura, l’esecutivo guidato (si scherza, eh) dal presidente Conte combinerà poco o nulla. Più nulla che poco, torcendosi in ambasce denunziate perfino dal suo esponente di maggiore autorevolezza, il ministro dell’Economia Tria. “Nessuno investe in Italia se un governo compie scelte retroattive” ha detto riferendosi alla Tav, osteggiata da Di Maio e soci con argomentazioni improponibili a chiunque voglia documentarsi per il tempo lievemente superiore alla bevuta d’un caffè al bar. Intanto la crisi economica galoppa: ai dati disastrosi su produzione industriale e crescita si è aggiunto il verdetto negativo dell’Istat circa l’indice di fiducia d’imprese e consumatori, ai minimi degli ultimi quattro anni. Olè.

Chiamato a gareggiare dopo un anno e qualche mese dalla disfatta del 2018, il centrosinistra si accrediterebbe qualche chance di competere in concreto e non soltanto sulla carta? Il risultato ottenuto alle regionali sarde da Zedda, candidato di un’alleanza Pd/altre liste, dice che sì, la partita si può giocare. Basta intendersi su chi va in campo e su come si gioca. Non una cosa impossibile, lo avevano già dimostrato in realtà differenti Pisapia a Milano e Pizzarotti a Parma. Lo suggerisce oggi Calenda, sollecitando all’unitarietà dell’antisovranismo: se Zingaretti uscirà vincitore dalle primarie dei Democrats, farebbe bene a dargli retta. Non serve un Pd allargato, serve un Pd stretto a un’alleanza inclusiva. Altrimenti, game over prima ancora d’entrare in campo.

Ps

1) Salvini che spacca i Cinquestelle aiuterà il nuovo segretario del Pd ad aprire il dialogo con l’ala anti Di Maio. 2) Salvini che irride il “vecchio centrodestra” aiuterà i liberalmoderati a reindossare il gilet azzurro. 3) Salvini che indugia sulle promesse elettorali (flat tax, autonomie regionali, modifica della legittima difesa, abolizione delle accise eccetera) aiuterà l’astensionismo a esserlo di meno. Ma non a suo beneficio.

 

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