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Parole

BULLIZZATI

MARGHERITA GIROMINI - 01/03/2019

razzismoUna riflessione non è stata evidenziata con sufficiente chiarezza nella vicenda del maestro supplente di Foligno: quella sul peso di azioni che a mio parere si palesano come corruzione delle giovani menti. Un reato davvero grave sul piano etico.

Il maestro supplente di Foligno, Mauro Bocci, incaricato di insegnare più materie in varie classi, ha la possibilità di venire a contatto con tanti bambini e così ha potuto diffondere il suo virus anti solidarietà umana più ampiamente di un qualunque maestro di classe.

Agli inizi di febbraio nella scuola di Bocci succede qualcosa che riesce ad emergere violentemente soltanto dopo un certo numero di giorni.

Due fratellini “di colore” (un forte disagio mi coglie ogni volta che sono costretta dalle circostanze a distinguere qualcuno per il colore della pelle) – di età diverse perciò frequentanti classi diverse, vengono sottoposti a ingiurie di stampo razzista da parte del maestro: un caso raro, per fortuna, di bullismo al contrario.

A bullizzarli è l’adulto nel suo ruolo di educatore; a difendere le vittime sono i compagni che hanno saputo mostrarsi maturi, sensibili e dotati di vero senso dell’amicizia.

È proprio il maestro a colpire pesantemente i due fratelli, lui, incaricato tra l’altro dell’insegnamento della materia alternativa alla religione cattolica, uno spazio disciplinare per consuetudine didattica dedicato ad approfondire tematiche sociali e filosofiche tra cui i diritti dell’infanzia, la cooperazione, la pace.

I fatti sono noti.

Il maschio viene relegato in un banco rivolto alla finestra perché da quella posizione ai compagni sia evitata la sua visione, dato che, parole del maestro, lui è troppo brutto.

Alla sorellina tocca l’epiteto di “scimmia” già sdoganato a suo tempo per l’allora ministra “nera” Cecile Kyenge.

Alcuni bambini si ribellano all’evidente ingiustizia. Intervengono a difesa del compagno. Proprio loro, cui spetterebbe il ruolo di bulli, protestano con il maestro per il trattamento riservato al compagno.

Bocci rimprovera uno dei bambini che hanno reclamato facendogli notare che dovrebbe vergognarsi di questa sua azione, lui, il figlio di un militare!

Non sfugga la logica del maestro: un “vero” duro, come dovrebbe essere il figlio di un militare, non si impietosisce nei confronti dei deboli.

I particolari di questi episodi riferiti alle famiglie cominciano a circolare nel quartiere.

La dirigente scolastica, informata, tace. Forse aspetta che la brutta vicenda finisca nel dimenticatoio, come tante altre. Forse ritiene i fatti non degni di un suo intervento. Forse non interviene per paura di doversi assumere qualche responsabilità.

In queste due, tre settimane, il maestro ha il tempo per accorgersi di essere finito in un guaio troppo grosso.

Qualcuno, certo un legale, gli suggerisce una fantasiosa spiegazione: si è trattato di un esperimento pedagogico volto a provocare nei bambini la repulsione nei confronti di comportamenti razzisti. Con tanto di riferimenti ad analoghe esperienze condotte in altre parti del mondo.

I bambini smentiscono: nessuno li ha mai informati di una simile attività didattica.

Bocci si affretta a cancellare dalla sua pagina Facebook alcuni post smaccatamente razzisti, sostituendoli con altri sul tema della Shoah.

Infine oscura la propria pagina.

Altri tentativi di difesa includono un repertorio noto: non è stato capito né dai bambini né dalle famiglie, mentre la collettività, con l’aiuto della stampa, lo ha criminalizzato senza ascoltarlo, si sappia che anche lui è un padre, papà di due bambini.

La vicenda è e resta terribile, le giustificazioni vacillano: ogni ulteriore spiegazione aggrava lo stato delle cose.

Per una volta io ringrazio i social e le tanto vituperate, anche da me, chat di classe dove mamme e papà, approfittando di trovarsi in uno spazio virtuale, di frequente danno voce a rivendicazioni talvolta curiose. Così le proteste sui social intorno al grave silenzio della scuola hanno raggiunto la stampa e portato alla luce il brutto caso.

Non chiamiamo in causa Internet, o il bullismo, o il clima invelenito degli ultimi tempi, e neppure le carenze educative della famiglia e della scuola.

Affermiamo che qualcuno, nel sistema scuola non è degno del ruolo di educatore.

Perché a un educatore servono cultura generale, oltre a quella specifica della materia da insegnare, una decisa formazione psico pedagogica, equilibrio, apertura mentale, disponibilità all’ascolto, capacità relazionali, e cioè quelle doti che favoriscono l’accoglienza dell’altro, qualunque sia la storia personale e sociale di cui ognuno è portatore.

È urgente che gli operatori della scuola si dotino di un codice deontologico che funga da faro per tutti coloro che desiderano intraprendere un percorso a contatto con l’infanzia e l’adolescenza.

Alziamo l’asticella della riprovazione come ci hanno insegnato i bambini della scuola di Foligno.

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