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Urbi et Orbi

CONTRO GLI ABUSI

PAOLO CREMONESI - 08/03/2019

summitSpenti i riflettori dei media sul ‘summit’ contro gli abusi ai minori, finito in Vaticano il 24 febbraio scorso, si può provare a mettere qualche punto fermo, oltre l’onda di giusta indignazione e risentimento che reati così drammatici provocano.

“È stato un lavoro importante, di quelli che lasciano il segno”, dice Ernesto Caffo, neuropsichiatra, fondatore di Telefono Azzurro, unico italiano della commissione vaticana che ha preparato l’incontro, in una delle rare interviste che ha rilasciato.

I quattro giorni (da giovedì a domenica) hanno impegnato duramente i giornalisti: briefing quotidiani di due ore, letture delle relazioni distribuite alla stampa, tre al giorno, resoconti degli undici circoli minori, conferenze stampa delle vittime di abusi giunte da tutto il mondo.

Tre considerazioni: 1) Si è guardata in faccia la realtà. Non è un mistero che l’iniziativa di papa Francesco abbia trovato resistenze anche in Vaticano.

“Ho avvertito insofferenza nella Chiesa per l’ attenzione che si dedica alla questione degli abusi sessuali ai minori” racconta Linda Ghisoni sottosegretario al dicastero dei Laici e relatrice. “ Un sacerdote, qualche giorno fa, esclamava: ‘Ancora? È esagerata l’attenzione della Chiesa dedica a questi temi’. Ma anche una signora praticante ha detto candidamente: “Meglio non parlare di questi argomenti perché altrimenti cresce la sfiducia verso i sacerdoti. Parlarne offusca tutto il bene che si fa nelle Parrocchie. Se la vedano il Papa, i vescovi e i preti tra loro!”.

Bergoglio invece ha scelto una linea diametralmente opposta e non ha avuto paura di affrontare direttamente la piaga. Prendere coscienza di questa tragedia e rendere conto delle proprie responsabilità non è stata una fissazione, un’azione inquisitoria per soddisfare aspettative sociali, ma una esigenza che scaturisce dalla natura stessa della Chiesa, mistero di comunione fondato sulla Trinità : “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme” (1° Corinti 12,26)

Proprio questo guardare in faccia alla realtà senza paura ha permesso che nella liturgia penitenziale di sabato scaturisse un esame di coscienza diretto a vescovi e sacerdoti senza fraintendimenti: Che cosa so delle persone che nella mia diocesi sono state abusate? Come nel mio paese la Chiesa si è comportata verso quanti hanno subito violenze di potere, coscienza o sessuali? Quali ostacoli abbiamo messo sul loro cammino? Li abbiamo ascoltati? Abbiamo cercato di aiutarli? Sono stato all’altezza delle mie responsabilità? Quali passi ho intrapreso per evitare nuove ingiustizie?

2) Uno dei quattro postulati che sorreggono il pontificato di Bergoglio è: “Il tempo è superiore allo spazio” Evangelii Gaudium (222-225). Questo summit ne è stato un’efficace testimonianza. Nessuno, infatti, tra gli organizzatori si poteva illudere che tre giorni e mezzo di lavori potessero guarire una ferita che solo da pochi anni si sta evidenziando con tutta la sua impressionante violenza e ampiezza di casi.

Tuttavia papa Francesco, oltre a sintetizzare in ventuno punti operativi le linee della Chiesa, ha soprattutto indicato un metodo: quello del dialogo diretto e senza fraintendimenti con le vittime, mettendole al centro della riflessione ecclesiale. Non tanto solo un ’mea culpa’ per altro tardivo, quanto un credere che proprio il dolore di chi è stata vittima sia la scaturigine della risposta. Una modalità quindi di affrontare problemi destinata a crescere appunto nel tempo.

3) “Sto vivendo una bellissima esperienza di sinodalità, di cammino insieme” dice l’arcivescovo di Vienna cardinal Schonborn”. Siamo uniti cercando di non pensare che i problemi sono solo quelli degli altri ma che tutti dobbiamo procedere nella conversione”.

In effetti, e questo lo si è percepito soprattutto durante le conferenze stampa e l’ottimo lavoro che il nuovo prefetto per la comunicazione Paolo Ruffini ha messo in campo, il summit ha testimoniato una grande unità di preghiera e intenti tra i partecipanti.

Colpiscono alcune figure come quella del maltese Scicluna (che ha condotto per Bergoglio l’inchiesta sugli abusi in Cile culminata con le dimissioni dell’intero episcopato), del cardinale di Monaco Marx, dello svizzero Zollner. Uomini relativamente giovani ma che abbinano grande competenza a volontà decisionale.

“L’incontro in Vaticano – dice Andrea Tornielli direttore editoriale del dicastero Comunicazione – non è stato soltanto un pugno nello stomaco che ha reso i partecipanti più coscienti della devastante azione del male e del peccato e dunque della necessità di chiedere perdono invocando l’aiuto della grazia divina. Il summit attesta anche la ferma volontà di dare concretezza a quanto emerso con scelte operative efficaci. Perché la coscienza della gravità del peccato e il costante appello al Cielo per implorare aiuto che hanno caratterizzato il summit vanno di pari passo con un impegno rinnovato e operativo, per far sì che gli ambienti ecclesiali siano sempre più sicuri”.

A maggio la Chiesa italiana, piuttosto in ritardo rispetto alle sorelle europee, affronterà le linee guida per la tutela dagli abusi di minori e adulti vulnerabili. Sarà un test importante per capire l’efficacia di quanto emerso in Vaticano.

 

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