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Opinioni

QUALE CAPO

ANTONIO MARTINA - 08/03/2019

zingaretti2Il neo eletto segretario del PD, Nicola Zingaretti, ha dichiarato: “Non sarò un capo ma il leader di una comunità”. Una buona occasione per poter esprimere la mia opinione sul significato dei due vocaboli. Al riguardo su Wikipedia leggiamo: Il capo (dal latino caput, “testa” per estensione metaforica) o leader (dal verbo inglese to lead, “guidare”), in un gruppo sociale, è chi ricopre un ruolo di comando o direzione (in inglese leadership), inteso come processo d’influenza sui membri del gruppo per il perseguimento degli scopi comuni. La prima considerazione sembrerebbe orientarci verso un’analogia tra il significato di Capo e quello di Leader. In realtà, pur esistendo una sottile linea di congiunzione, Zingaretti ha ragione perché i due significati sono abbastanza diversi. Un capo ha a sua disposizione pochi modelli culturali di riferimento che lo riconducono alla tradizionale leva del “comando”. Una persona la quale sviluppa, dalla famiglia alla realtà militare ed ecclesiastica, situazioni di rigida gerarchia. Le persone comandate, forse un po’ stanche di limitarsi all’obbedienza, hanno messo sempre più in discussione il modello tradizionale di Capo. Inoltre, dopo molto tempo si è capito, almeno nel lavoro, che se un capo tratta i dipendenti con rigidità e direttività ottiene una collaborazione minima, indispensabile per evitare una sanzione. Un Capo può essere considerato/valutato secondo l’intensità di attenzione dimostrata nei confronti delle persone e degli obiettivi che raggiunge (risultati):

  • con scarso interesse sia verso le persone che gli obiettivi, viene definito “lassista”; potrà contare su un clima sereno, risultati casuali, individualismo esasperato;
  • con elevato interesse per le persone e scarso interesse verso gli obiettivi, viene definito “paternalista”; potrà contare su un clima familiare, risultati ancora casuali, individualismo solidale;
  • con elevato interesse per gli obiettivi e scarso interesse verso le persone, viene definito “autoritario”; potrà contare su un clima teso e conflittuale, risultati interessanti, individualismo spinto;
  • con elevato interesse verso le persone e verso gli obiettivi, viene definito “autorevole”; potrà contare su un clima adeguato, risultati pianificati, creazione di una buona squadra, rispetto e fidelizzazione.

Ecco che solo un capo autorevole può essere considerato anche un leader e questa è la sottile linea di congiunzione di cui parlavo. Ciò che maggiormente e positivamente emerge dalla classificazione appena esposta pare essere l’autorevolezza la cui definizione è: “garantire costantemente risultati di rilievo attraverso la valorizzazione delle persone”. Per sviluppare l’autorevolezza (leadership) diventa indispensabile governare/coinvolgere le persone utilizzando le due leve che un leader ha a disposizione: la flessibilità e l’efficacia. La flessibilità perché le persone sono diverse tra di loro, diventa quindi indispensabile poter raggiungere tutti attraverso una comunicazione e un coinvolgimento differenziati. Con efficacia (fare le cose giuste), perché le situazioni in cui si opera, sono ampie e si sviluppano anch’esse in maniera differente, nel tempo e nell’ambiente di riferimento. Un conto è dialogare solo con la Città, altro con il Paese, l’Europa, il mondo. Un particolare da ricordare riguarda l’esistenza di diverse tipologie di leadership. In una prossima occasione vorrei trattare di quelle denominate: carismatica, situazionale, etica, visionaria.

Qui ne commento alcune negative:

  • Leadership incompetente – il leader e almeno alcuni seguaci difettano della volontà o della competenza occorrenti per portare avanti con continuità un’azione efficace. Facendo riferimento ad almeno un aspetto importante della leadership, essi non creano un cambiamento positivo.
  • Leadership rigida – il leader e almeno alcuni seguaci sono rigidi e ostinati. Pur essendo competenti, non possono o non vogliono adattarsi alle nuove idee, alle nuove informazioni o ai tempi che cambiano.
  • Leadership intemperante – il leader manca di autocontrollo e viene supportato e favorito da seguaci che non vogliono o non possono intervenire efficacemente.
  • Leadership insensibile – il leader e almeno alcuni seguaci sono cinici o scortesi. I bisogni, i voleri e i desideri di quasi tutti i componenti del gruppo o dell’organizzazione, specie dei subordinati, vengono ignorati o relegati in secondo piano.
  • Leadership corrotta – il leader e almeno alcuni seguaci mentono, ingannano o rubano. Essi mettono i propri interessi al di sopra degli interessi pubblici in una misura che eccede la norma.
  • Leadership insulare – il leader e almeno alcuni seguaci minimizzano o ignorano la salute e il benessere degli “altri”, cioè di coloro che vivono al di fuori del gruppo o dell’organizzazione di cui sono direttamente responsabili.
  • Leadership malvagia – il leader e almeno alcuni seguaci commettono atrocità. Usano il dolore come strumento di potere. I danni arrecati a uomini, donne e bambini sono tendenzialmente gravi. Possono essere fisici e/o psicologici.

Nell’augurare a Nicola Zingaretti un buon lavoro, rimando al prossimo incontro la continuazione dell’argomento con ulteriori opinioni.

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