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Attualità

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MANIGLIO BOTTI - 22/03/2019

Migranti sopravvissuti a un naufragio sulle coste di Tripoli, in Libia (Taha Jawashi, Afp)

Migranti sopravvissuti a un naufragio sulle coste di Tripoli, in Libia (Taha Jawashi, Afp)

Parliamo ancora di migrazioni e di migranti. Il tema non si esaurisce, il problema resta in piedi. È inquietante il fatto che alcuni commentatori – per dire che è ormai in via di soluzione, grazie a una politica restrittiva e rigorosa da parte del governo – esso venga qualche volta ridotto solo a una questione di numeri. A caso: l’anno scorso i morti furono 1.500. Quest’anno soltanto mille, quindi cinquecento di meno. Con buona pace di tutti. Specie di quelli che riposano sul fondo del Mediterraneo.

Non sono questi i numeri esatti, ma nessuno – a quanto si sa – è in grado di fornire notizie degne di fede. La morte rimane un mistero, perché si vuole che sia così.

 E ancora più inquietante – prendiamo a esempio una trasmissione televisiva di qualche settimane fa – è il fatto che il giornalista Gad Lerner, poi anche (ingiustamente) sbeffeggiato per l’incomparabilità delle storie, dinanzi a immagini tremende girate nei campi di concentramento libici, facesse queste dichiarazioni: se nel secolo scorso, durante il secondo conflitto mondiale, a proposito della Shoah, si poteva dire che “non sapevamo”, oggi questa stessa affermazione non vale più, perché tutti vediamo e sappiamo…

Ciononostante, vi è ancora qualcuno che giudica le immagini di tortura e di violenza “rubate” da abili cineoperatori nei lager della Libia come fasulle, inventate: l’Italia ha la coscienza pulita. Inutili le inchieste dell’Onu, i moniti di papa Francesco, gli articoli che ogni giorno pubblicano giornali importanti.

E invece l’Italia, ma non solo l’Italia ovviamente, l’Europa intera, la coscienza pulita non ce l’ha per niente. Molti oggi, e certo non a torto, danno addosso al ministro dell’interno Matteo Salvini per la sua politica dei “porti chiusi” (e forse anche degli aeroporti). Ma essa a dire il vero è cominciata con il suo predecessore del Pd Marco Minniti che volle trasformare, magari a… sua insaputa, ignobili scafisti e trasportatori di migranti in guardie costiere. L’obiettivo era impedire i viaggi per mare, problema che Minniti aveva addirittura diagnosticato come “emergenza democratica”.

E così si fece dono alla Libia – ma in realtà a un’unica tribù, quella di Al Sarraj, vezzeggiato e coccolato, che probabilmente non ha nemmeno il dominio e la potestà su Tripoli – di motovedette armate con le quali si potesse presidiare una zona di mare che fronteggia la sua costa.

Sui lager che immediatamente furono allestiti in parti del territorio della Libia, come ammassamento di migrazioni interne che invece continuarono (e continuano) calò presto un penoso silenzio, quasi che la parola d’ordine fosse quella di parlare d’altro. E si cominciarono a snocciolare numeri e numerini di sbarchi ridotti: è merito mio, è merito nostro, è merito loro… Come se dietro ai numeri non ci fossero uomini, ragazzi, bambini, donne incinte ma solo entità astratte.

La demonizzazione delle ong, le cui navi che fino a qualche anno fa perlustravano il mare Mediterraneo con l’unico scopo di salvare vite umane, non è stata proprio una privativa salviniana, anche se l’attuale ministro dell’Interno e vicepremier ci ha messo tanto del suo. E sono suonate un po’ pelose, per quanto inevitabilmente doverose, le parole di cordoglio e di rammarico espresse da ministro degli Esteri Enzo Moavero di qualche giorno fa per gli otto operatori umanitari di ong italiane morti sul Boeing precipitato in Etiopia: rappresentanti dell’Italia migliore, s’è detto; il che per contrasto sta a significare che esiste anche un’Italia peggiore. La quale, appunto, le ong non le vuole vedere e nemmeno ne vuole sentir parlare.

Ma niente s’è aggiunto, nella dichiarazioni di prammatica, a notizie sulle nostre concrete politiche di cooperazione (aiutiamoli a casa loro?), e sui fondi eventualmente stanziati. E nemmeno s’è spiegato qualcosa delle “contraddizioni italiane”, là dove, sui siti del ministero, si afferma con chiarezza che la Libia oggi non è un posto sicuro; meglio non andarci, e chi per caso vi si trova è meglio che se ne torni subito a casa. Gli italiani, prima gli italiani.

Degli altri, coloro i quali in Libia sono arrivati decimati da marce forzate attraverso il deserto e dopo altri “percorsi della morte”, per venire subito imprigionati e resi schiavi, non importa nulla. Ancora silenzio. E, come s’è detto, non solo in Italia… Tutti: italiani e anche francesi, inglesi, portoghesi, olandesi, tedeschi, belgi… Insomma, tutti coloro i quali hanno sempre e per secoli prelevato dall’Africa come da un bancomat, infischiandosene degli uomini e delle donne e dei bambini, così lontani, facendo guerre, sterminando popolazioni, pensando solo ai propri interessi. Come continuano a fare. E guai agli africani che si permettono di chiedere aiuto.

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