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Noterelle

IL DOVERE

EMILIO CORBETTA - 29/03/2019

dovereUn amico non più giovane mi ha confidato le grandi difficoltà che incontra da quando è rimasto solo. “Single”, per dirla in inglese come è di moda, “solo”, per dirla in italiano. È rimasto solo non per scelta ma per gli eventi della vita; lui ha visto la sua famiglia sfaldarglisi attorno. L’intreccio del tempo con le patologie ha portato via una ad una le persone a lui care. Ora si ritrova in solitudine, non in abbandono, anche se è difficile non avere l’impressione di esserlo e non cadere nella “sindrome dell’abbandonato”. No! È una cosa diversa. Qui si tratta di solitudine non cercata come per gli asceti, non voluta, che ti piomba addosso. Fenomeno frequente nella nostra società che talvolta è crudele.

Lui nella sua vita, con molta umiltà ma con altrettanta intelligenza, onestà, determinazione e saggezza, ha saputo lavorare molto bene alla guida di una ditta, ricevuta in condizioni quasi fallimentari sia per motivi economici che tecnici. Fino a portarla ad uno stato florido, tanto che poi è stata acquistata da amministratori di altre ditte di pari attività, che han saputo fiutare l’affare. Purtroppo poi il frutto del suo lavoro è stato disperso da amministratori meno sagaci e la cosa gli ha lasciato molta amarezza nell’animo.

Era una ditta importante, non privata, che gestiva i servizi per la popolazione di un comune, ossia una di quelle che vengono definite “partecipate”.

Lui allora era circondato da molti altri in attività collaborativa, ma anche concorrenziale. Era un continuo dialogare, discutere, confrontarsi, progettare, fare. L’hanno messo in pensione. Ora è solo!

Erano gli anni in cui si dava molto valore alla gestione pubblica (definibile di Stato) di servizi ed attività economiche. Statalizzate erano l’energia elettrica, la sanità, l’istruzione, le autostrade, le ferrovie, la scuola, e tanti altri servizi. Non tutto andava bene perché, come sempre, il fulcro di ogni attività resta strettamente legato alla qualità delle persone e la qualità delle persone influisce sui risultati.

È sempre vivace il confronto tra coloro che vedono la gestione dello Stato prioritaria in molte attività ed altri che sono convinti che sia più positiva la gestione “privata”. In questo momento sono lontano dall’intento di esprimere un giudizio su questo argomento: desidero invece nuovamente sottolineare che è il valore dell’intelligenza e dell’onestà delle persone a garantire risultati positivi sia in una gestione che nell’altra. Esperienze recenti ci hanno coinvolto in drammi causati da gestioni disoneste sia nell’ambito privato che pubblico.

Il mio amico, fine testa dirigente, era alle dipendenze di un comune e si sentiva al servizio di un ente che doveva trattare la vita, le necessità, i bisogni di una intera comunità composta da migliaia di teste, di testine, di testone sempre esigenti e brontolone.

Nella sua posizione doveva affrontare il problema del diritto a certe necessità di vita. Ai nostri giorni si sottolinea, si afferma, si manifesta che il cittadino ha diritto alla salute, al lavoro, alla difesa, alla giustizia, alla casa, ai trasporti e via di questo passo. Per avere diritti bisogna avere anche il senso del dovere perché, solo soddisfacendo i tuoi doveri realizzi i diritti per tutti. Questo lui lo sapeva benissimo, come sapeva benissimo che tutto non poteva dipendere da lui ma sentiva il dovere – diritto di dare il suo contributo e così, profondamente onesto, era conscio della sua posizione per cui lavorava con efficacia e soddisfaceva, più o meno direttamente, i diritti dei cittadini.

Lui così si sentiva realizzato, orgoglioso e soddisfatto di quanto faceva. Ora quanto da lui fatto non c’è più. È stato dimenticato, oserei dire sperperato.

Perché queste parole a lode di un semplice onesto? Lui ha fatto solo il suo dovere. Lui ora abita la sua casa da solo: nessuno con cui scambiare due parole, nessuno a cui confidare i suoi timori, nessuno con cui condividere il bello o i dolori della vita.

Lui ha fatto solo il suo dovere. Fare solo il tuo dovere è cosa molto faticosa e silente. La nostra società lo pretende e tu in silenzio fai, ma poi quando hai bisogno spesso ti trovi solo di fronte alla sofferenza. Questa la realtà amara della nostra comunità. Tu hai fatto “solo” il tuo dovere.

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