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BATTERIO

MARGHERITA GIROMINI - 05/04/2019

Le forze della Liberazione sfilano a Varese nel 1945

Le forze della Liberazione sfilano a Varese nel 1945

Si avvicina il 25 Aprile.

Può servire una riflessione sul significato della festa civile generata da quella giornata di 74 anni fa quando nelle vie delle città del Nord Italia, tra cui Varese, si riversò una folla festante e composita che esultava per il ritorno alla libertà.

Esauriti gli anni del Ventennio, finita la guerra lunga e dolorosa, risultata vincitrice la lotta resistenziale, si credette che il fascismo fosse morto e l’ideologia fascista superata una volta per tutte. Purtroppo non fu così facile liberarsi dalla lunga schiavitù morale di tale esperienza.

Nel panorama politico odierno si muovono gruppi e gruppuscoli di giovani neofascisti e neonazisti, appartenenti a frange estreme, sinistre e inquietanti, che come fantasmi popolano i cimiteri negli anniversari della morte dei loro camerati. Che festeggiano in piena incoscienza la ricorrenza del 20 aprile 1889, giorno della nascita di Adolf Hitler, l’uomo peggiore che la civiltà occidentale del Novecento abbia saputo esprimere.

Qualche brivido me lo procurano certe parate militari, al calare della sera, con tanto di aquile, svastiche, stivali e camicie neri, braccia alzate nel saluto romano.

Meno preoccupati di noi adulti verso i nostalgici di un’era storica che credevamo morta per sempre, sono parsi gli studenti del locale Liceo Artistico, attori di una rappresentazione teatrale sulla Shoah.

Il pubblico chiede come mai alcuni coetanei amino fregiarsi di simboli universalmente riconosciuti come simboli di morte: per innata malvagità, per ignoranza della storia, per misconoscimento dei valori praticati nella nostra democrazia?

Secondo una ragazza del gruppo aderiscono a formazioni estreme ragazzi che sentono il bisogno di appartenere a un’ideologia forte, da cui si sentono rassicurati e protetti, inglobati dentro il contesto di un’idea forte. Dietro non ci sarebbero scelte politiche vere e proprie.

Forse è sensato non preoccuparsi solo delle frange estreme, che comunque rappresentano un pericolo, morale per l’inquinamento operato sulle menti assorbenti dei più giovani, materiale per l’attitudine alla violenza come metodo per imporre le proprie idee.

L’attenzione del mondo democratico sarebbe meglio spesa se sapessimo riconoscere modalità comportamentali affini al fascismo anche dentro il nostro quotidiano sociale e individuale.

Umberto Eco affermava che un regime identico a quello del ventennio mussoliniano non può più tornare, mentre la mentalità fascista è eterna: al contrario di altre ideologie deleterie come il nazismo o il comunismo stalinista, non poggia su basi filosofiche e ideologiche. Pertanto può replicarsi in altre forme, adattandosi alle novità sociali come un batterio si adatta a nuovi farmaci. 

Il suo decalogo resta inossidabile nel tempo. Proviamo a sintetizzarlo.

È fascista:

  1. il culto per la tradizione e il richiamo a vere o presunte radici che creano fossati tra i popoli;
  2. la scelta di pilotare gli istinti del “popolo” e il rifiuto dei principi del pensiero critico;
  3. l’avversione per la cultura ritenuta contraria al popolo, il sospetto verso “chi ha studiato” a partire dalla dichiarazione attribuita al ministro nazista della Propaganda Goebbels in poi;
  4. considerare traditore chi non è d’accordo con il messaggio propinato dal capo;
  5. il razzismo, chiave di volta di ogni sistema totalitario, alla ricerca costante di consenso, alimento della naturale paura nei confronti degli intrusi, prima di tutto gli stranieri o coloro che sono percepiti come tali: rom, ebrei, omosessuali, dissidenti …
  6. la frustrazione sociale e individuale, lievito dall’autoritarismo, unita all’appello alle classi sociali in difficoltà;
  7. il nazionalismo, collante per coloro che si sentono privi di un’identità sociale;
  8. l’odio verso il pacifismo, ritenuto colluso col nemico perché abbassa il livello del conflitto permanente necessario per esaltare Nazione, identità e tradizione;
  9. l’esaltazione del cittadino della Nazione in quanto appartenente al popolo migliore del mondo;
  10. l’elevazione del popolo a entità monolitica, espressione della “volontà comune” di cui il leader è l’interprete.

Viviamo in un’epoca, in Italia e non solo, che sembra rispecchiarsi nel decalogo proposto da Eco più di vent’anni fa. Ci ricorda che il fascismo non è sparito nel 1945: la sua visione del mondo e la sua psicologia sono, per nostra sfortuna, pronte a ripresentarsi.

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