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Società

ROTTURA CULTURALE E TRAMONTO DELLA CITTÀ GIARDINO

CESARE CHIERICATI - 24/03/2012

La collina di cemento del Sangallo

Nell’ormai lunga storia della Varese democratica post bellica, in tema di piani regolatori e relative scelte urbanistiche, le Giunte che si sono via via susseguite a Palazzo Estense hanno avuto a dir poco un atteggiamento schizofrenico, da dottor Jekill e mister Hyde tanto per essere chiari. Perché se è vero che il 18 maggio 1948 il Consiglio Comunale, all’unanimità, approvava l’acquisto del Parco Mirabello – con un pezzo suggestivo lo ha ricordato Ambrogio Vaghi nel numero scorso di RMFonline – è altrettanto vero che pochi anni più tardi la nuova maggioranza centrista uscita dalla amministrative del ’51 accettava di buon grado un piano regolatore che, prevedendo una megalopoli di settecentomila abitanti, dava di fatto via libera alle speculazioni che hanno di molto trasformato e impoverito il volto della città giardino.

Non basta a spiegarlo la formazione di una nuova maggioranza (nel ’48 vi era una Giunta di sinistra) di sicuro meglio disposta verso i proprietari di fondi e gli impresari edili e neppure lo spiega a sufficienza l’esigenza reale di costruire nuovi alloggi in centro e nelle castellanze. Ci fu nell’avvento di nuovo personale politico e amministrativo una sorta di rottura culturale avvertita con grande preveggenza dallo scrittore Guido Morselli che in un articolo sulla Prealpina – siamo nel 1952 – ammoniva con toni accorati a salvaguardare l’impianto a ville e giardini di Varese dopo lo stravolgimento prebellico di Piazza Mercato, oggi desolata piazza Repubblica, avvenuta con la costruzione del Collegio Sant’Ambrogio. Morselli, paventando il peggio, auspicava, con generosa ingenuità, la “nascita di un comitato in difesa della città” ormai diventata con i suoi spazi verdi una ghiotta occasione di arricchimento. Aveva visto giusto l’appartato e acutissimo scrittore perché negli anni che seguirono Varese conobbe una lunga stagione di cementificazioni fuori misura e di distruzioni in serie di parchi e giardini.

Successivamente al 1952, infatti, decisivi colpi vennero assestati alla città in rapida successione: la cancellazione del parco Grassi di via Milano e l’edificazione dell’attuale ecomostro, l’abbattimento di Villa Dandolo, la costruzione all’Ungheria del Burrifico Prealpi all’interno dell’ex Parco Poggi che raccordava a verde viale Borri e via Gasparotto; l’abbattimento del teatro Sociale in piazza Giovine Italia, la chiusura delle tramvie e delle funicolari, gli assurdi quartieri di San Gallo -conseguente alla distruzione colpevole del Ronchetto Fé – del Montello e di Avigno, infelice esempio quest’ultimo di edilizia popolare. Un furore edilizio che condusse all’eutanasia urbana di via Cavour, una splendida arteria di ville in pieno centro, alla cancellazione del campo Passerini a Casbeno da parte delle suore di Maria Ausiliatrice, all’edificazione dell’indecente ITIS in sfregio allo splendido panorama sul Rosa. E tanti altri guasti si aggiunsero negli anni successivi fino ai tetri alberghi dei mondiali 2008 alle Bettole e a Capolago.

Eppure a conferma di quella sorta di schizofrenia denunciata all’inizio le stesse Giunte che assecondavano le “Mani sulla città” di cinematografica memoria ebbero, alcune almeno, dei soprassalti di lucidità politica che consentirono l’acquisizione di parchi e ville di pregio altrimenti votate all’abbandono e al degrado: il Castello di Masnago, Villa Augusta peraltro minacciata dall’incombente parcheggio sotterraneo più volte contestato da Daniele Zanzi su queste colonne, Villa Toeplitz e Villa Baragiola. Alla luce di questo passato, nel complesso assai poco glorioso, sarà davvero molto interessante vedere cosa ci riserverà il PGT (Piano di gestione del territorio), l’Araba Fenice di questi ultimi grigi anni di urbanistica sostanzialmente dettata dall’ingannevole stella polare degli oneri di urbanizzazione e delle relative compensazioni ai costruttori.

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