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Apologie Paradossali

IL DISTACCO

COSTANTE PORTATADINO - 11/04/2019

matrimonio(S) Con rara tempestività la tua apologia della scorsa settimana sulla famiglia si è incrociata con la pubblicazione in prima pagina sul quotidiano locale della scomparsa in Varese del matrimonio religioso. Uno contro venticinque civili, senza contare il numero, forse maggiore, di convivenze iniziate senza nessuna formalità.

(O) È quello contro cui Costante poneva l’alternativa del Cantico dei Cantici: i giovani vogliono amore, non famiglia, non vincoli contrattuali.

(C) Mi ha meravigliato, lo ammetto, più la sproporzione tra matrimoni civili e religiosi, che non il fatto che si arrivi al matrimonio dopo una convivenza più o meno lunga e magari dopo la nascita di un figlio. So bene che persino nei corsi prematrimoniali parrocchiali si presentano numerose coppie di fatto, come se sicurezza e significato della decisione venissero raggiunte solo attraverso una prova. Nell’uno e nell’altro caso non posso nascondere la preoccupazione che la perdita di valore del matrimonio religioso sia un segnale importante non solo di una perdita di fiducia nella famiglia come istituzione, ma proprio di una perdita di fede.

(S) Ti vedo incerto, quindi stavolta comincia ad ascoltare noi. Per prima cosa direi che viviamo da molto tempo in un mondo in preda ad una crisi di fiducia che tocca quasi tutti gli aspetti della vita quotidiana, per non parlare delle istituzioni. Noto, intanto, che fiducia è una forma meno forte, una specie di sottoprodotto della fede, come rivela l’etimologia. Deriva infatti dall’aggettivo Fiducus, che si attribuisce a una persona di cui ci si fida, a cui, reciprocamente, dà credito il fiducioso. È strano, ma in italiano manca il termine corrispondente, dobbiamo dire: persona o cosa degna di fiducia, oppure usiamo come sinonimo ‘attendibile’, che mi sembra espressione ancora più debole. Nella vita quotidiana, insomma, siamo costretti a dare fiducia ad una quantità di cose e di persone, dal cuoco al tranviere, dal progettista dell’aeroplano all’amministratore di condominio, dal Presidente del Consiglio al vigile urbano; tutto e tutti però sono sottoposti alla possibile verifica, ad un indagine in cui nessuno è al di sopra del sospetto. Di tutti siamo ormai abituati a diffidare, figuriamoci quando mettiamo in gioco tutta la vita.

(O) Io voglio invece prendere la questione dal lato opposto, la premessa di Sebastiano mira a dire che, se non ci può bastare leggere l’etichetta per tranquillizzarci sulla qualità del cibo in scatola e vogliamo che magari anche la scatoletta di croccantini per il cane sia rigorosamente ‘BIO’ e certificata tale da un organismo indipendente. A maggior ragione non possiamo assolutamente accettare di legarci per la vita ad una persona, dotata di una sua volontà non sottomessa alla nostra, se non forse, dopo una lunga esperienza positiva. Secondo me, invece, non prevale nelle vicende di relazioni matrimoniali e familiari in generale, questo aspetto che lui qualifica come estremamente razionale, quasi scientifico, ma quello della volontà.

Provate ad ascoltare in treno o in bus le confidenze tra due amiche o a leggere certi post su Facebook o certi twitter: vi accorgerete che tutti i passaggi principali dei discorsi contengono il verbo ‘voglio’: “voglio vivere la mia vita”, voglio essere più tranquilla”, “non voglio dipendere da nessuno” e via dicendo. Sebastiano dice: i giovani non si fidano del futuro, perché si rinchiudono nella circostanza presente, calcolano il dare e l’avere. Quindi dovrebbero essere sostenuti da certezze economiche e sociali, che forse un tempo fornivano loro anche le famiglie d’origine e che dovrebbero essere rimpiazzate dallo Stato. È la tesi ‘politica’ dei difensori della famiglia.

Io dico invece che questa chiusura nel presente, questa avarizia nell’investire risorse umane, affettive e morali, nella prospettiva di un legame duraturo, che si renda definitivo con la presenza di figli, dipende dall’aver perso il sogno più bello di ogni giovinezza, quello di essere attori, persino creatori di un mondo migliore, per sé e per altri, soprattutto per i figli. Pensare che questo sogno sia impossibile induce per forza ad un ripiegamento su se stessi che, secondo me, avviene purtroppo molto presto, ben prima di essere feriti dalle difficoltà del lavoro, prima degli oneri di gestione di una famiglia, prima persino delle delusioni sentimentali. Senza un grande sogno da realizzare è facile diventare egoisti, senza nemmeno pensare di esserlo, semplicemente accontentandosi di poter accedere a qualche minuto piacere, accessibile a buon mercato. Nemmeno metto nel conto un danno più grave: le vittime dello sballo, forse meno colpevoli, perché sicuramente più fragili, perché feriti troppo presto.

(C) Ambedue avete evidenziato lati diversi ma importanti del tema di fondo, di cui la crisi dell’istituzione familiare è la conseguenza più appariscente, ma non mi avete convinto. La cultura del sospetto ha creato la figura dell’indignato, il fallimento delle ideologie, quella dell’accomodato, ma queste sono le conseguenze, non la causa.

La fiducia, ha detto bene Sebastiano, deriva dalla fede; è la sua applicazione nelle relazioni sociali, è il presupposto del diritto e della giustizia, del commercio, dell’impresa, del lavoro e delle professioni, della stessa libertà. Infatti restringiamo la libertà di certe persone perché ci manca la fiducia e vogliamo la sicurezza per decreto. Abbiamo dimenticato che presso i nostri antenati Romani la parola FIDES indicava prima di tutto una virtù civile, identificata poi come una divinità protettrice, ma non esprimeva il contenuto di una credenza religiosa. È stato un apporto peculiare del cristianesimo collegare la fides romana, il rapporto reciproco di lealtà e di affidabilità che legava tra loro i cittadini, anche di rango e di interessi diversi, con il credere in Dio, che attraverso Gesù Cristo, rivelava anche il significato della vita. Con la penetrazione del cristianesimo e della sua idea di umanità redenta e destinata al bene, l’intera società si è rafforzata nei suoi legami, tutte le istituzioni sono diventate più solide e la famiglia, che già da Augusto era stata tutelata dalle leggi è diventata sempre più il fondamento di tutte le relazioni di prossimità.

Mi sembra che oggi stia avvenendo il fenomeno opposto, il distacco della fiducia/fides laica dalla fede cristiana e dalla sua visione antropologica; si vorrebbe che la fiducia possa sopravvivere alla della Fede (con la maiuscola) a faccenda privata e poco attuale, se non residuo medievale. Temo che sia molto difficile, almeno per quanto riguarda la famiglia, e che non ci sia limite ad un progressivo degrado verso rapporti apparentemente più liberi, in realtà di prevalenza della legge del più forte. Perciò, ecco il paradosso, vedo la permanenza del matrimonio civile come un ultimo ancoraggio alla fiducia/fides e alla stabilità di rapporti che consente alla società di essere generativa. Riconosco che resta un ultimo grande interrogativo, cui non so rispondere: come può fare la Chiesa a recuperare quell’unità tra Fede in Gesù Cristo e la sua rivelazione con virtù civile della fiducia. Un modesto tentativo l’avevamo proposto con un apologia del novembre scorso: ‘Opzione Benedetto o Diogneto’, in cui cercavamo il metodo per restituire attrattiva alla vita cristiana nella sua quotidianità e contemporaneità.

(S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti (C) Costante

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