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Noterelle

CURE PALLIATIVE

EMILIO CORBETTA - 19/04/2019

cureTanti anni sono passati ma quell’immagine è ancora viva davanti ai miei occhi. Lui che esce affranto, pieno di dolore dal cancello dell’Ospedale di via Lazio. Il borsello pende dalla spalla, un maglioncino sbiadito, pantaloni spiegazzati. È appena venuto via dal letto della figlia che si sta dibattendo nel dolore psicologico e fisico provocato da una leucemia che non si riesce a domare. Lei splendida fino a qualche giorno fa, irradiante voglia di vivere fino a qualche giorno fa, impegnata a realizzare tanti grandi progetti fino a qualche giorno fa, piena di sogni fino a qualche giorno fa, ora legata ad un filo di speranza agogna una guarigione che sente lontana e irraggiungibile. In certi momenti urla: perché devo morire così presto. Non sono nata per questo destino.

Lui, uomo che nella vita è pieno di vivacissima attività e programmi, ora sta camminando incerto e stanco fuori dal cancello appena superato, guardando nel vuoto. Veicoli lo sfiorano strombazzando. Persone affaccendate lo sorpassano, lo urtano, ma lui non sente niente, non può sentire perché nel suo cervello martella una voce che continua a ripetere “lei muore”. Lei per istinto ha ancora il filo di speranza, lui no! I medici hanno dovuto comunicargli la dura verità.

Dolore immenso, dolore terribile veder morire un figlio. Tu dovevi morire prima di lei, è la natura. Sempre duro e difficile affrontare la morte, ma più naturale, se cosi è possibile dire, morire prima tu genitore.

“Gli uomini hanno creato le religioni per paura della morte” ho sentito dire da un sacerdote che dedica tanto della sua pietà per assistere malati terminali. “La morte la si vive confrontandoci con la morte di Cristo” ho sentito dire da un altro. Ho sentito dire pure che la morte è la conseguenza del peccato. Scientificamente è il degrado delle molecole che ci compongono che non può che terminare con la morte, questo è naturale, ma noi, pieni di richiami per l’eternità, restiamo attoniti di fronte a questa realtà. “È un cambio di vita” sussurrano altre religioni.

Il nostro modo di vivere, la nostra società, che tra l’altro crea infiniti momenti di morte sul lavoro, nel traffico, con le armi, invece con la sua retorica cerca di cancellare ai nostri occhi questo evento, ma molti vivono con attenzione la realtà della vita ed aiutano a morire, prima di tutto cercando di alleviare al massimo la sofferenza con le cure palliative.

In questi giorni stiamo vivendo la morte di Cristo: Lui, uomo nel fiore degli anni, ucciso col massimo della crudeltà colmandolo di sofferenze da subire il più lentamente possibile. E dopo un certo momento se non eri ancora morto, ti spezzavano le gambe, non un colpo in testa che avrebbe tolto la coscienza, ma appunto spezzandoti le gambe per farti soffrire di più. Uomo animale crudelissimo.

Oggi le cure palliative cercano di realizzare esattamente il contrario: togliere la sofferenza anche cercando di alimentare in noi, nella nostra psiche, la naturale speranza che abbiamo dentro. Sì, in noi c’è sempre il desiderio di andare verso il meglio e forse abbiamo creato le religioni non per paura ma per questa speranza di bene assoluto. Una persona a me cara in cure palliative, in un momento di relativo benessere, aveva voluto fare la marmellata: mi sembra un chiaro segno che la speranza c’è sempre.

Il progetto delle cure palliative è un grande programma di civiltà che richiede tanto coraggio, amore, superamento di remore, condivisione. È una grande donazione

Gesù ha sofferto ed è risorto. Un grande mistero molto difficile da comprendere, ma che risponde all’esigenza di immortalità che avvertiamo dentro di noi. Più facile capire il grande atto di carità da Lui compiuto e su questa linea d’amore le cure palliative si muovono cercando di cancellare la sofferenza che non ha mai giustificazione.

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