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Parole

CI INSEGNANO IL FUTURO

MARGHERITA GIROMINI - 19/04/2019

ragazziMeno male che le buone notizie, scarse di questi tempi, sembrano destinate ad aumentare grazie ai giovanissimi, al coraggio di “lanciare il cuore oltre l’ostacolo”, prerogativa che oggi sembra appartenere soprattutto a loro.

Il futuro è custodito nelle loro mani: di Greta, di Rumi, di Simone, dei tanti che affollano le piazze per l’ambiente e che vengono criticati da parte dell’opinione pubblica perché non hanno idee chiare sulla soluzione ai problemi che ci pongono. Come se le avessimo noi…

Parlano una lingua comprensibile, a differenza di molti politici in TV o nei dibattiti.

Anche quando, come Simone che vive nella periferia romana di Torre Maura, affronta un giovanotto neofascista con le parole “A me ‘sto fatto che bisogna andare sempre contro la minoranza non sta bene. Nun me sta bene che no. Siamo sessanta milioni e non ci possono creare problemi settanta zingari”.

Chiarissimo. Anche senza traduzione dal romanesco all’italiano.

Ragazzini che vanno al sodo, colpiscono il nocciolo del problema, che hanno capito e sanno sintetizzare, estrapolare, argomentare.

Alla mamma Simone aveva detto che non poteva sopportare di vedere il pane rovesciato e calpestato per disprezzo; bisogna dire qualcosa, non si può stare zitti con quelli che vogliono speculare sulla povera gente per raccattare quattro voti. Gente che sta distruggendo un quartiere.

Una lezione esemplare che certi opinionisti non riescono ad accettare.

Facile insinuare che il padre di Simone è un vecchio marxista leninista, strumentalizzato dalla politica, esaltato dai media perché i ragazzini come lui, come Rami, come Greta, fanno audience.

La sua espressione “Non me sta bene che no”, è diventata la parola d’ordine delle associazioni antifasciste della piazza romana che dichiarano di riconoscere lui come la punta dell’iceberg dell’opposizione al fascismo.

Meno male che il padre di Simone è un uomo equilibrato e sa difendere il suo ragazzo, “Simone è ancora un bambino”, dall’assalto mediatico che potrebbe distruggerlo in pochi giorni, gonfiando il caso, attribuendo al suo intervento spontaneo un significato troppo carico di responsabilità, le stesse che noi adulti non sappiamo più reggere.

Oscilliamo tra il desiderio di individuare un eroe che si spenda al nostro posto e l’invidia per un adolescente divenuto famoso suo malgrado, che senza tanti sociologismi ha focalizzato “la” risposta da opporre al razzismo e alla rabbia dilaganti.

Curioso che una scrittrice come Elena Stancanelli si fermi alle considerazioni sull’accento e sulla scarsa (a suo dire) proprietà linguistica di Simone, bypassando il contenuto delle sue frasi. Lo ha ben difeso un professore della classe frequentata dal quindicenne, dichiarando che “la competenza linguistica consiste anche nel saper adottare registri differenti a seconda delle circostanze. Il ragazzo si è espresso correttamente rivolgendosi a CasaPound e non certo a un gruppo di illustri accademici”.

La scrittrice, inclusa nella rosa dei candidati allo Strega, avrebbe gli strumenti culturali per capire la portata del breve intervento di Simone, un giovanissimo che in pochi secondi ha messo KO la dialettica razzista di chi gli stava di fronte.

Negli stessi giorni in cui Simone diventava una star, noi potevamo ammirare l’aplomb di Moise Kean della Juventus, 19 anni, italiano di origini ivoriane, in risposta ai cori razzisti di una parte dei tifosi del Cagliari: è rimasto in piedi sotto la curva del Cagliari, immobile, senza parlare, guardando nella direzione da cui provenivano gli insulti.

Poi, su Twitter, ha scritto che quella era “The best way to respond to racism”.

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