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In Confidenza

LIBERTÀ

Don ERMINIO VILLA - 19/04/2019

risortoVorrebbe cantare oggi la Chiesa, saltare, danzare, gridare; esprimere insomma una gioia incontenibile di fronte all’annuncio della risurrezione del Signore. La Pasqua è la madre di tutte le feste. Per questo la Chiesa moltiplica gli Alleluja, usa immagini, suoni, colori, tutto ciò che serve per esprimere un’esultanza infinita.

Il vangelo della risurrezione è liberante e la Chiesa gode della libertà che il Risorto le ha portato in dono: libertà dal peccato e libertà dalla morte; libertà di amare e libertà di donare senza paura; libertà di perdonare, anche; a tutti.

Oggi riposiamo finalmente dopo la tensione dell’attesa, dopo la sofferenza del distacco, dopo la paura e l’incertezza; oggi godiamo di ciò che Dio ha fatto e ci viene da dire col profeta: “La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria?”

È giustificato il tripudio? In fondo il pungiglione della morte è ancora più che attivo nel mondo e in grado di imporci paure e lutti dolorosi; la carne che siamo è inserita in un sistema di terra…

È vero: questa è la condizione dell’uomo; la Chiesa lo sa, perché ha pianto il suo Signore ai piedi della croce. E tuttavia oggi la Chiesa canta, come se la morte non la inquietasse più. Questo, infatti, è il senso della Pasqua: l’amore, con tutta la sua debolezza, si è dimostrato più forte della morte con tutta la sua durezza.

Certo; non sappiamo nemmeno dire con precisione quello che celebriamo. La Pasqua è mistero di morte e di risurrezione. E chi potrebbe parlare con verità della morte dal momento che nessuno di noi l’ha sperimentata se non di riflesso, nella morte di persone care?

La risurrezione poi è passaggio da questo mondo al Padre, è trasformazione della carne mondana in carne gloriosa, è ingresso nella vita divina che supera ogni immaginazione per quanto ardita; la risurrezione sta oltre qualunque parola che possiamo dire o idea che pensare. Dunque vittoria sulla morte; ma paradossale perché è avvenuta attraverso la sofferenza, l’umiliazione, la morte stessa.

La vita non è più un tesoro geloso da stringere avidamente tra le mani con l’ansia di vederlo scemare ogni giorno; è invece ricchezza ricevuta con riconoscenza e donata con gioia.

E la morte non è più un sepolcro sigillato che separa per sempre dai vivi; è diventata trasformazione del corpo di carne in corpo celeste; è rimasta, la morte, dolorosa, ma da sterile qual era, è diventata feconda. Come il chicco di grano che morendo diventa spiga e moltiplica il miracolo della vita.

L’esultanza di oggi non è perché ci viene promesso di non morire, ma perché ci viene donato di vivere per Dio e per gli altri, liberi da quella paura della morte che ci fa preoccupati di noi stessi e ci rende egoisti.

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