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Politica

EROISMO

EDOARDO ZIN - 03/05/2019

notre-dameLa notte di Pasqua dell’anno scorso ho partecipato a Notre Dame alla veglia pasquale. La cattedrale, colma di popolo, si percepiva nell’ombra. Ero circondato da mia moglie, da mio figlio, da molte persone che non potevo conoscere, ma che erano animate da un unico desiderio: vincere le tenebre e riportare al mondo la luce del Risorto. Silenzio profondo, attonito.

Sul sagrato si accese un rogo, un rogo di liberazione. E da quel fuoco si attivò la luce del cero pasquale, simbolo di Colui che è “la luce del mondo”. Il cero entrò nella cattedrale e il diacono urlò con gioia che Cristo era risorto e le tenebre erano vinte per sempre. Da quel cero si accesero le fiammelle che ognuno teneva in mano: tante piccole candele, tante paure, tanti tremori che nell’insieme consolavano perché incominciava il tempo della luce e, dopo un periodo di tenebre, ricominciava la vita nuova.

In un’isola quasi deserta della laguna veneta, dove mi trovavo recentemente, mi arriva un messaggio di un’amica: (“Notre Dame è in fiamme. Brucia”) e subito dopo le prime foto scattate da mio figlio accompagnate da una sola parola: “Triste!”. Notre Dame bruciava.

Nei giorni seguenti, leggendo i giornali e vedendo le immagini pensavo che lo sbriciolamento del tetto, della guglia, il fumo che si alzava acre, le macerie potevano sembrare la metafora dell’Europa che moriva.

Il mio pensiero è corso subito alla bella statua in pietra di Notre Dame posta nell’angolo del transetto di destra, davanti alla quale i turisti passano indifferenti, ma che i parigini venerano inginocchiandosi, accendendo un lume, scrivendo sul grosso libro una preghiera d’intenzione e congiungendo le mani in una prece di supplica. E che ne sarà del bel rosone del XII secolo posto sulla facciata principale? E le tombe dei cardinali Suhard – che intuì per primo, subito dopo la guerra, l’inizio del processo di secolarizzazione della Francia che chiamò “terra di missione” – di Feltin – che dimostrò simpatia per i primi preti operai e fondò “Pax Christi – di Lustiger – che non esitò a ordinare ai suoi preti di aprire le porte delle chiese per accogliere i “sans papiers”- saranno rimaste illese? E chissà se è rimasta intatta la pietra sul pavimento che indica il punto esatto in cui Paul Claudel, ascoltando il canto del Magnificat, si convertì!

Bruciava quella notte qualcosa di vivo, non di morto perché le cattedrali non possono morire. Esse sono il segno dell’opera di un intero popolo, il frutto di una civiltà, l’evidenza di una storia che si è detta ed è stata cristiana. Le cattedrali non possono essere ridotte a ceneri, piombare nelle tenebre e in quelle angosce a cui il Risorto vuole strappare l’uomo moderno. Non può Notre Dame restare scheletrita per pochezza di speranza, affumicata e cupa a causa dello smarrimento dei sentieri sconosciuti battuti dall’uomo d’oggi.

Notre Dame, oltre che essere la casa di Dio in mezzo alla casa degli uomini, è stata testimone di tensioni e di contraddizioni della storia civile e di disaccordi tra la purezza del Vangelo e l’inquinamento del potere temporale: lì dentro si alzarono preghiere per i re di Francia; giustiziato Luigi XVI, fu tolto ogni segno che richiamasse la monarchia dei Borbone e la cattedrale fu trasformata in magazzino di vino; Napoleone la restaurò e lì si incoronò imperatore dei francesi; nel periodo della Comune, Notre Dame corse il rischio di essere incendiata dai rivoluzionari, nel 1918 si cantò il “Te Deum” per la vittoria della prima guerra mondiale, nel 1929 le campane suonarono a lutto per i funerali del generale Foch, nel 1945 si innalzò nuovamente il “Te Deum” per la fine della seconda guerra mondiale e poi lì si tennero i funerali del generale De Gaulle, di Pompidou, la Messa in suffragio per i trappisti trucidati in Algeria, per le esequie degli arcivescovi…

Ho un sogno: che Notre Dame, pur arsa dal fuoco e incenerita, risorga per esprimere visibilmente ancora le radici cristiane di questa nostra Europa. Il popolo che sul sagrato pregava, piangeva, cantava la “Salve, Regina”, ritrovava la sua unità: uno accanto all’altro sentiva di farcela. Con la ricostruzione della Cattedrale incomincerà, dopo un periodo di morte, la vita nuova dei parigini, dei francesi, dei visitatori provenienti da tutto il mondo. Quel popolo raccolto in preghiera era come Giobbe, la cui fede non venne mai meno, nemmeno nelle sofferenze più atroci. E sarà quel popolo a indicare agli uomini agnostici, indifferenti, non credenti che con Notre Dame bruciava il passato, ma non il futuro. Di fronte al declino del vecchio continente, su cui si stende, fittissima, una ragnatela di principi che non hanno più il loro fondamento in Dio, rinascerà l’uomo europeo in una luce pura e rivelatrice.

Un tempo il nostro continente aveva tavole di salvataggio: il Partenone, il Colosseo, la forza del diritto romano, Notre Dame, le università, la ricerca della libertà, dell’uguaglianza, della libertà, dell’indipendenza, della democrazia acquisite a duro prezzo talvolta col sangue. Ora comprendiamo il loro valore.

L’eroismo che i tempi domandano oggi ai cristiani d’Europa non è un eroismo impraticabile, ma l’eroismo delle cose possibili, l’eroismo della solidarietà, della libertà creatrice, della speranza dinamica, dello spirito di sobrietà.

Giovedì 9 maggio, “festa dell’Europa”, i cristiani di tutte le confessioni assieme agli uomini di buona volontà cammineranno in silenzio a Milano da Sant’Eustorgio alla basilica di San Lorenzo. Canteranno, pregheranno, rifletteranno alle ore 18: nello stesso tempo in cui, 74 anni fa, Robert Schuman poneva la prima pietra della Comunità Europea.

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