Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Attualità

GUTTUSO BIS

ROBERTO CECCHI - 10/05/2019

Spes contra spem

Spes contra spem

Era il 23 giugno del 1984 quando a Villa Mirabello si aprì una mostra dedicata a Guttuso. Era curata da Giovanni Testori. Un intellettuale cattolico, intelligente ed emblematico, che celebrava un intellettuale organico di sinistra, un comunista, il pittore Renato Guttuso (1911-1987). Fu una mostra memorabile. Raffinata, intelligente. Capace di mobilitate l’attenzione della gente.

Da allora, in città, di mostre del genere non ce ne sono più state, nonostante ci siano parecchie opere di Guttuso in circolazione. Ma sono nei caveau. Per decenni, si è sentito parlare di progetti, d’iniziative e di musei appositamente dedicati. Ma niente di più. E così, finora, un’intera generazione di giovani e meno giovani non ha più potuto ammirare le opere di un maestro che sicuramente ha caratterizzato una parte importante della nostra storia recente. Che ha vissuto a Varese per trent’anni, diventandone anche cittadino onorario (novembre 1983), e facendo di Varese uno dei suoi luoghi d’ispirazione. Oggi, quasi non lo si ricorda neanche più.

Si dirà che tutto sommato non interessa a nessuno occuparsi di “robe” del genere. Che i giovani d’oggi pensano ad altro. E che le mostre non suscitano attenzione. Ma è davvero difficile che possano entusiasmarsi per qualcosa che non conoscono. Qualcosa di cui, per una ragione o per l’altra, sono stati tenuti all’oscuro. Mentre abbiamo toccato con mano che basta poco per destare l’attenzione di molti.

In questi tre anni di governo della città, abbiamo constatato che la gente risponde con entusiasmo a qualsiasi cosa significhi conoscenza. Quel sapere che, volendo prendere a prestito le parole di Eugenio Garin, è l’attività “con cui il soggetto crea il proprio oggetto”.

Sta a chi guida la collettività stimolare l’attenzione con iniziative appropriate. Ed è proprio per questo che abbiamo colto con entusiasmo la disponibilità della famiglia Pellin di offrire alla città, per un decennio, una ventina d’opere del maestro di Bagheria, onorando la volontà del fondatore Francesco Pellin (1936-2009) che per vent’anni ha raccolto con caparbietà e intelligenza le opere del maestro, e insieme al maestro, dando corpo alla più importante raccolta di dipinti dell’artista, non solo per una gratificazione personale, ma anche per renderne partecipe la collettività.

Quindi, dopo trentacinque anni, il prossimo19 maggio si inaugurerà a Villa Mirabello una seconda mostra su Renato Guttuso, curata da Serena Contini, che rimarrà aperta fino al 6 gennaio 2020. La mostra occupa una delle parti più belle della Villa e cioè quelle sale del piano terra che si affacciano sul parco, fino a poco tempo fa destinate ad altro.

Si potranno vedere ventuno dipinti (più altri quattro) che coprono un arco di tempo che va dal 1966 al 1986. È il primo tassello di un’operazione più ampia – e già programmata – destinata ad interessare la città per diverso tempo. Adesso, con questa prima mostra, si è voluto dar conto semplicemente della volontà della Fondazione di far conoscere le sue opere. Con un importante contributo di Fabio Carapezza Guttuso che porta testimonianze inedite di una realtà speciale, vissuta col Maestro, in prima persona. Il prossimo passo sarà quello di rileggere la figura di quest’artista dal multiforme ingegno, all’interno del panorama nazionale e internazionale.

Le opere sono organizzate in nove sezioni, che vanno dalla Natura morta. Barattoli del 1966, passando per l’autoritratto (l’Atelier) del 1975, per arrivare a Il sonno della ragione genera mostri del 1980, dipinto in occasione della strage di Bologna. La mostra si chiude con l’opera simbolo della poetica guttusiana. Quella Spes contra spem del 1982, vero e proprio manifesto e “summa della poetica dell’artista”, già esposta in sedi prestigiose come Roma a Castel S. Angelo, New York e Palazzo Reale a Milano ed anche a Varese, dove è stata dipinta, nella citata mostra del 1984.

In termini cronologici, una delle sue ultime opere, che lo stesso Guttuso considerava una sorta di testamento, che si prefigge di dare ai sogni e ai sentimenti “una certezza figurativa”. In mostra, l’opera è accompagnata e preceduta da una decina di disegni preparatori, che testimoniano il travaglio che ha caratterizzato la realizzazione di questo dipinto (il catalogo è per i tipi di Nomos Edizioni).

In quest’opera manifesto – una tela di considerevoli dimensioni di tre metri per tre e cinquanta – si scorge tutta l’importanza dell’esperienza varesina. Gli scorci di paesaggio che si intravedono son quelli del lago di Varese. Le figure che animano il dipinto, molte son cittadine. E le ragioni di quest’opera le ha spiegate lo stesso Guttuso, in un articolo apparso su l’Unità di agosto del 1983 “In fondo il vero tema del quadro, tema non predeterminato, poiché sono partito da un’idea assai vaga, risulta consistere nell’unità di passato, presente, avvenire. Potrebbe anche questo essere un «trionfo della morte», non nel significato moralistico di questo tema, come era nell’intenzione dei pittori medioevali, borgognoni, catalani, siciliani, ma nel metodo narrativo, in cui essi svolgevano il tema: piaceri della gioventù, potere dell’età matura, sovrani, papi e mendicanti livellati dalla falce. II significato, se pure uno ce n’è per me, non è il sueňo di Calderon, nel quale grandi e poveri vivono il sogno del loro presente. È, vorrebbe essere, la realtà della vita. Per queste ragioni prima di pensare a San Paolo (la frase di San Paolo mi fu suggerita da Antonello Trombadori) pensavo di intitolare il quadro «Le tre età della vita»”.

Un’opera piena di melanconia, calma e pacata, frutto anche delle atmosfere di un territorio che gli ha saputo dare un respiro nuovo, per la frequentazione di personalità come Guido Piovene, Dante Isella, Piero Chiara, Angelo Frattini, Vittorio Tavernari e tanti altri.

Intellettuali capaci di parlare con forza alla politica, discutendo di cultura. Diversamente da oggi, come ricorda in un’intervista recente Emanuele Macaluso «Lo scarso impegno degli intellettuali nella battaglia politica e culturale mi angoscia molto. Dopo la guerra si impegnarono tutti, socialisti, comunisti, cattolici, azionisti. Un elenco straordinario di scrittori, pittori, registi, professori universitari. Mi vengono in mente nomi come Bobbio, Guttuso [!], Marchesi, De Filippo, Levi, Calvino, Moravia, Rosi…».

Oggi, l’impegno è diverso da allora. Ma non dovrebbe essere di minore intensità, visto che abbiamo di fronte sfide planetarie e, come è stato detto con l’autorevolezza del mestiere, la globalizzazione rende debolissime le comunità che non hanno un’identità forte. Mentre risultano vincenti i territori che dispongono di unicità e di identità speciali da mettere in competizione.

Varese possiede molte di queste particolarità, a partire dalla qualità del suo territorio (se n’è data dimostrazione tangibile in un’altra circostanza). Ma può vantarsi di avere anche altri gioielli della cultura, come quelli di cui si è detto, insieme ad un’auspicabile rivisitazione del ricchissimo e pressoché sconosciuto Museo Archeologico.

E potrà crescere ancora, se il rapporto con Villa Panza appena abbozzato (in questa circostanza si potranno vedere le due mostre, quella di Scully e quella di Guttuso, con un biglietto ridotto) verrà consolidato fino al punto di farne due centri del contemporaneo, seppur molto diversi tra loro (l’occasione di stabilire un rapporto privilegiato con il Guggenheim per Villa Panza è svanito nel nulla per banale insipienza).

Dunque, non stiamo parlando di semplice intrattenimento, che pure avrebbe la propria ragion d’essere. Stiamo discutendo di strumenti formidabili di riconoscibilità identitaria e, dunque, di opportunità di sviluppo sociale ed economico. Per questo, non ci devono essere spazi per interferenze dilatorie e per il “benaltrismo”. Fare cultura, che lo si voglia o no, significa perseguire un interesse pubblico ad ampio spettro, attraverso professionalità dotate di competenze specialistiche. Non si tratta di un trastullo amatoriale. L’improvvisazione in questo campo fa più danni che dire a un maniscalco di fare il dentista. Ma pare che in giro ci sia la fila di garruli maniscalchi pronti a tutto.

 Roberto Cecchi, Assessore alla Cultura del Comune di Varese

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login