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Noterelle

HOSPITALITAS

EMILIO CORBETTA - 10/05/2019

hospiceLe cure di base sul territorio, quelle che necessitano di tecnologie in ospedale … potrebbe essere questa la via di una nuova medicina? Meglio: un ospedale che si apre sul territorio, un territorio che si appoggia all’ospedale per la parte maggiormente tecnologica della medicina. È già così per le cure palliative.

In molte regioni italiane si è voluto aiutare gli ammalati in cammino verso la fine cercando di annullare la loro sofferenza: da qui la creazione degli “hospice” negli ospedali mentre sul territorio si dà aiuto a chi non vuole abbandonare la sua casa, il suo nido. Compiti non facili ma molto efficaci per ridurre la sofferenza ed in certi casi anche annullarla. È un grande e profondo progetto che sta dando risultati validi.

Seguendo questo esempio sarebbe molto bello avere ospedali non più definibili “azienda” – e come tali tendenti all’arroccamento – ma considerati di nuovo “ospedali” e quindi aperti all’ospitalità.

Perché questo progetto di “aziendalizzare” la sanità? Il gigantesco problema economico ne è il principale responsabile: la necessità di dominare i bilanci e non esserne dominati ha spinto a ricercare soluzioni diverse.

Breve sintesi storica: dal sistema antico delle mutue si è passati alla statalizzazione della medicina ma il “diavolo dei numeri” è sopravvissuto beffardo. È stata richiamata in vita la medicina privata per avere un aiuto. Nella nostra Lombardia la privata avrebbe dovuto migliorare la “cura” dei pazienti grazie alla “concorrenza”, secondo il proclamato progetto di Formigoni. Si è aperta la porta a “menti imprenditoriali” capaci di realizzare bilanci attivi. I cittadini si ritrovano ora con due possibilità: la medicina pubblica sovvenzionata dalle nostre tasse, la privata alimentata in alta percentuale dalla stessa fonte. Sappiamo che il nostro grande debito riduce sempre più i fondi e che quindi i pazienti devono contribuire per avere il servizio necessario per la salute. Poi la medicina privata non è libera ma condizionata dalle Regioni, che impongono vincoli ai servizi con allungamento delle liste. A margine il sistema assicurativo privato combatte altra battaglia ma resta parziale il contributo che può dare.

Per inciso: da tempo è di moda, da parte degli economisti, sacrificare il troppo costoso personale, definito un tempo risorse umane, cercando sostegno nella tecnologia. Questo può funzionare nelle aziende industriali e commerciali, spremendo lacrime e sangue agli umani, ma non può funzionare nella sanità dove gli umani operano sulle persone. Ma il “diabolico” sembra suggerire che si può realizzare maggior profitto spremendo sia i dipendenti che i pazienti. Il discorso ha un netto limite, perché la salute è un “prodotto – servizio” e non permette un guadagno incrementabile oltre una certa cifra, anche utilizzando le tecnologie.

Dove una possibile soluzione? Che valore reale deve avere questa “certa cifra” che deve fare i conti con il diavolo della ricerca, della farmaceutica, della formazione del personale e tanto altro? Il concetto del “libero mercato” non appare applicabile. Forse un equilibrio più “equilibrato”, meno costoso ė realizzabile con una Sanità non strettamente Aziendale ma con Ospedali ben comunicanti col territorio dei medici, dei paramedici e dei malati, cercando di dominare anche il terribile demonio della Burocrazia, altro importante intralcio che frena le cure.

Si sta cercando, in tutti i progetti umani, la creazione di algoritmi, di modelli matematici che permettano soluzioni sicure, progetti ben definiti, ma tra i numerosi coefficienti che devono essere presi in considerazione c’è sempre qualcosa d’imponderabile che salta fuori quando s’arriva al pettine dei risultati. C’è sempre il diavolo sfuggente anche se le capacità di calcolo offerte dalle tecnologie d’oggi riducono molto l’imponderabile. Dobbiamo essere capaci di guardare alla concretezza della sofferenza da sempre presente nell’umanità, che risulta essere un coefficiente non calcolabile che invoca l’aiuto di un altro fattore non numerabile: l’amore, la passione per l’uomo e la realtà della sua vita, che non può avere prezzo ma che necessita di risorse.

L’esperienza della “aziendalizzazione” sembra aver esasperato i problemi, lasciandone la soluzione alla professionalità delle singole eroiche “risorse umane” sanitarie. Il problema di una sanità tagliata in settori rigidi per la presenza di confini netti tra ospedale, cliniche private e territorio dovrebbe essere superato, lasciando alla “forza” delle risorse umane la libertà di esprimersi indipendentemente dal fatto di trovarsi tra le mura ospedaliere o le mura domestiche, non trascurando gli aiuti provenienti dalle RAS, cioè dalle Residenze Sanitarie Assistenziali, ex Case di Riposo. Assolutamente da coltivare, incrementare, valorizzare la presenza della medicina praticata dalle nostre “risorse umane”, i nostri medici, paramedici, tecnici sanitari ed altro, fondamentali per alleviare le sofferenze presenti eternamente nella umanità. Sto facendo un discorso troppo idealizzato? Forse.

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